Cultura della visione
Sguardi su saperi, conoscenza, percezione e comunicazione
"Chi poco vede, nulla pensa", diceva Filippo Juvarra: nell’attuale "civiltà dell’immagine", la parte visibile e formale costituisce un linguaggio (un approccio metodologico) irrinunciabile e vincente nella formazione dell’architetto (e non solo); approccio mai affrontato nei corsi di base. La parte visiva e percettiva può considerarsi un autentico parametro di progetto nell’analisi e nell’intervento su Architettura e Città, Territorio e Paesaggio, così come nella definizione, conservazione e valorizzazione dei Beni Culturali, senza dimenticare il prodotto di Design. Parliamo di “ambiente e architettura sostenibili"; ma esiste anche una "visione sostenibile" e congruente da applicare, per esempio, nel progetto ecocompatibile, in quello per il restauro e la valorizzazione? Quanto allora l’aspetto visivo ed estetico conta nel successo del lavoro di un architetto, e non solo? La consapevolezza della visione e della percezione sono un mezzo prezioso per migliorare la qualità della vita, nonché gli scambi multiculturali.
Nell'antichità classica il termine "oida" significava "io so perché ho visto", mentre nel 1706 George Berkeley, nel suo "Essay sur la vision", sosteneva che "essere è essere percepito", ovviamente da Dio, secondo la sua mentalità. Così, il fine ultimo della collana si può riassumere metaforicamente nella risposta che Josef Albers, quando dovette lasciare il Bauhaus per le persecuzioni naziste e andare ad insegnare al Black Mountain College, diede agli allievi che gli chiesero che cosa avrebbe loro insegnato. Egli rispose "to open eyes"! E, non a caso, il logo della collana cita in omaggio "l'occhio alato" di Leon Battista Alberti.
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