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Aspettando che Zarathustra discenda dalla montagna…
Da fine conoscitore della psicologia individuale (dei singoli), di massa (dei popoli) e dell’intera umanità, Nietzsche ha dimostrato una sorprendente capacità predittiva. A una tale intelligenza non va richiesta la precisione e l’esattezza di uno “scienziato” nell’esprimere delle intuizioni. E’ semmai dallo scienziato che si deve pretendere l’enunciazione di leggi verificabili.
Ma a che vale ascoltare le parole di Zarathustra, con le quali ci si sente magari pienamente consonanti, se poi si prosegue il cammino verso un’altra direzione, altro viaggio, altra città?
Di fronte a geniali, formidabili, intuizioni sembra anche naturale non stupirsi di provare sgomento misto a imbarazzo, specie se ci si trova a un punto di svolta che si preannuncia sconvolgente. Se i tempi si sentono “maturi”, come negli “assunti di base” di Wilfred Bion, una realtà fantasmatica catalizza la vita emotiva, ripetendosi in modo caratteristico ed estrinsecandosi attraverso l’esigenza della nascita di una “nuova” stirpe che completi la trasformazione in atto.
Se “Dio è morto”, un’umanità, non più abbagliata dalle menzogne, dovrà andare “oltre” gli errori e le consolazioni, per prendere coscienza della propria finitezza e incompiutezza, senza per questo provare alcuna angoscia (“Keine Angst vor Nietzsche!”).
“Una genuina passione intellettuale” (dalla Prefazione di Maria Turchetti ad “Aspettando che Zarathustra discenda dalla montagna e si rechi alla città” di Guido Corallo, Aracne, Roma 2013) può bypassare ogni studio filologico e paratestuale, per puntare dritto al livello “liberatorio” del pensiero sociale di Nietzsche. Le più controverse opere del filosofo tedesco, da un punto di vista interpretativo, comprese quelle a cui il medesimo autore attribuisce grandissima importanza sono le sue ultime, dove le nozioni di “volontà di potenza”, Űbermensch (tradotto più propriamente “oltre”-uomo), ed “eterno ritorno all’uguale”, assumono valenza di teoria cosmologica.
La concezione della temporalità viene pensata al di fuori della prospettiva “lineare”, ereditata dalla tradizione escatologica giudaico-cristiana, coniugata in senso teleologico secondo i canoni del progressismo. Le coordinate di “origine”, “fine” (quale termine e scopo), nonché di “senso” (inteso come direzione e significato), vengono annullate da una sorta di reticenza (“riluttanza” dice Guido Corallo) all’esposizione della propria teoria come “dissezionata” nei suoi elementi costitutivi. Non un’analisi, quindi, ma un annuncio, quasi evangelico, nei termini dell’intuizione apocalittica, che vuolsi rivelare.
La grandezza d’una ricostruzione non lineare della storia dei saperi ha interessato Georges Canguilhem; la “genealogia”, in un contesto metodologico, viene ripresa da Michel Foucault; la polemica con la teleologia hegeliana, nei termini di un marxismo “aleatorio”, ha occupato Louis Althusser; ma questo ripensamento della temporalità ha soprattutto investito, e pesantemente, le teorie evoluzionistiche, tanto da contribuire alla loro riformulazione, al di fuori della dimensione del gradualismo, da parte di Stephen J. Gould. Nietzsche potrebbe aver svolto allora quello stesso ruolo che Alexandre Koyré attribuisce a Giordano Bruno, circa la concezione dello spazio, infinito e privo di centro, che permetteva pure l’applicazione della geometria euclidea all’astronomia, propendendo per la proposta copernicana e, nell’abbattimento del Kosmos aristotelico, negava privilegi a un pianeta “prescelto”, così come all’omocentrismo, ed escludeva definitivamente Iddio, con un immanentismo universale.
Ne “La nascita della Tragedia”, il nostro non si era ancora allontanato dal pensiero romantico, che però in seguito avrà modo di sconfessare, senza per altro nascondere le sue preferenze per Eraclito, che criticamente distanzia dal platonismo. La condivisione intellettuale con Schopenhauer e Wagner diverrà contrasto apertamente dichiarato. Mentre “Il Crepuscolo degli Idoli”, o “Der Antichrist”, sembrano sancire la teoria dell’Eterno Ritorno all’Uguale, trasformando il filosofo in un “Crocefisso” alternativo, condannato a rimanere per sempre sul Golgota, mentre Zarathustra ancor non intende recarsi “alla città”.
In un andamento ciclico, in cui ciascun accadimento si ripete identico come in un vertiginoso vortice, ogni sequenza diviene presupposto della successiva e soltanto la consapevolezza ci rende partecipi d’un meccanismo di moto e di coincidenze, in cui una paradossale convivenza fa apparire infinito ciò che continua inesorabilmente ad avere un termine assoluto.
Nell’annunciare l’Anticristo si sarebbe quindi Crocefisso.
“…Questo è il tormento di ogni grande maestro dell’umanità: - ebbe a confessare in una lettera del 1884 – egli sa che, in date circostanze del tutto accidentali, può diventare con la stessa facilità una sventura o una benedizione per l’umanità”.
La sequenza “morte di Dio”,“Volontà di Potenza”, Űbermensch (“oltre”-uomo), ed “Eterno Ritorno all’Uguale” è del tutto logica, in quanto significativa nel regolare svolgimento dei suoi singoli elementi. La prima sconvolgente scoperta di Nietzsche, e di cui si proclama subito annunciatore, è la morte di Dio. L’umanità ha subìto l’inganno del cristianesimo, soffrendo per ben duemila anni le conseguenze d’una falsa dottrina che ha svilito l’umanità asservendola a paure immotivate, rendendola succube dei sensi di colpa, distraendola con false lusinghe metafisiche dalla Terra (madre), ingiustamente trascurata quale sede dell’effimero e provvisoria tappa d’un cammino “di-retto” “altrove” e, al di là della realtà sensibile, “retto” da una meta intangibile.
L’invito di Nietzsche a prendersi cura dell’unico pianeta che abbiamo e a rispettarlo, in quanto, non esistendo altri mondi paradisiaci, il solo vero luogo che consenta la nostra vita, precorre la coscienza ecologica. Ma questa nuova era richiede anche uomini nuovi, liberi da qualunque sottomissione, non condizionati da norme etiche prive di significato contingente o rivelatesi strumenti oppressivi di autoritarismo.
E’ tempo d’un rovesciamento dei valori, con il primato della volontà sul dovere morale.“Il costume rappresenta le esperienze di uomini passati su quanto si presumeva utile e dannoso, – spiega il filosofo tedesco – ma il sentimento del costume (eticità) non si ricollega a quelle esperienze come tali, bensì all’età, alla santità, all’indiscutibilità del costume. E con ciò questo sentimento agisce in opposizione al fatto che si compiano nuove esperienze e si correggano i costumi, vale a dire l’eticità agisce opponendosi all’origine di nuovi e migliori costumi: essa inebetisce”.
Una fissità di ruolo, indiscutibile, ne frena ogni adattamento agli eventuali mutamenti e tanta staticità finisce per assumere connotati spregiativi, di “st-eticità”. Senza contare che un rigido dogmatismo non ha mai risposto in maniera soddisfacente a nessuna richiesta di soluzioni inerenti problematiche esistenziali inedite quanto inaspettate. I valori “non negoziabili” si traducono arrogantemente in ostentazione di potere tout court, tanto più forte ed esasperante quanto più ha la prerogativa di proibizioni inaccettabili e incontestabili, o la disponibilità di porre veti aprioristici.
L’etica statica (“st-eticità”), imposta dal dominio millenario cristiano, reprime e mortifica la volontà di un Anticristo e lo immobilizza trasformandolo in un Crocefisso.
Se non si offrono opportunità non esiste alcuna libertà e ogni cosa diviene concessione paternalistica. Resi inoffensivi da questa droga (Marx avrebbe detto “oppio”, riconoscendola come “il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d’una condizione di vita priva di spiritualità…”), tramortiti dalle illusioni che ottundono i sensi nel rapporto con la realtà, veniamo derubati della nostra condizione naturale di pensiero autonomo e indipendente, di libertà di coscienza, anche se questa condizione esistenziale, proprio per l’inganno che l’uomo perpetra a se stesso, dovesse rivelarsi un’espiazione prematura, in anticipo su un perdono non richiesto, perché non conseguente al pentimento.
Un’ulteriore (Űber-) generazione dell’umanità verrà contrassegnata da uno spirito innovatore. Il capostipite di questa stirpe è Zarathustra, l’uomo che emerge dalla massa superstiziosa e dormiente, per andare “oltre”, procedere cioè al di là dei due millenni che sono stati vissuti secondo le modalità psicologiche del “gregge”, caratterizzate da un’ideologia “che ha sempre giocato al ribasso”, svilendo l’umanità, additando i deboli, gli ultimi, i “poveri di spirito”, quali esempi gloriosi da emulare ed esaltando la sofferenza, quale unico mezzo di redenzione.
Una filosofia decisamente antiprogressista, impostata sull’indegnità e la miseria, per procedere nella direzione opposta a quella della realizzazione della felicità “qui e ora”.
L’Űbermensch (“oltre”-uomo) sarà contraddistinto invece da una consolidata capacità di non provare alcuna angoscia (“Keine Angst vor Nietzsche!”) nei confronti dell’inesistenza di Dio e di un “aldilà”. Il cristianesimo ha proclamato una morale dichiaratamente nemica della vita sulla terra e pertanto rappresenta, proprio per questo motivo, esso stesso la più pura espressione del nichilismo!
La “volontà di potenza” è ciò che determinerà il “rango” di questa nuova umanità, aristocratica, dal punto di vista etimologico, ed élitaria, in senso letterale. Il profeta è un educatore delle masse e non un sopraffattore; è colui che, possedendo le qualità intellettuali per poterlo fare, si prefigge nobili mete e se ne assume ogni responsabilità.
A determinare il “rango” è allora “unicamente il quantum di potenza, e nient’altro”. I “quanti” sarebbero un’altra predizione del veggente diRöcken in relazione alla teoria di Max Plank; corrispondono all’energia che questi “Iper-umani” sono in grado di sprigionare per alimentare l’ineffabile circuito dell’esistenza. E, paradossalmente, il fatto di partecipare al ciclo che si ripete indefinitamente, con scomparse e ricomparse, rende immortale ogni essenza vitale.
Nell’immaginario comune, il tempo ricorre in maniera lineare. Da un passato “vissuto”, del quale abbiamo avuto diretta esperienza, a un passato “storico”, del quale siamo a conoscenza indirettamente per via nozionistica, a uno “preistorico”, relativo a un periodo in cui l’umanità non compilava resoconti, ad ancora uno che sfugge alla nostra comprensione, perché antecedente alla comparsa della nostra specie, che però possiamo dedurre dallo studio dei fossili e della geologia. Al centro, il presente e poi qualcosa su cui siamo in grado soltanto di fare previsioni non troppo remote, in base a valutazioni probabilistiche sulla scorta dell’esperienza.
In senso lato, considerato quale funzione facente parte integrante dei meccanismi dell’universo, il tempo non sarebbe sempre esistito, ma si pensa che abbia avuto un inizio identificabile con il cosiddetto Big Bang che ha sprigionato tutta quell’energia propulsiva di cui tuttora s’avvertono le conseguenze, sotto forma di espansione in continuo aumento di velocità, per via d’un’ipotizzata forza antigravitazionale (energia oscura) che contrasterebbe il prevalere di quello che in definitiva si potrebbe rivelare un collasso cosmico (Big Crunch), con ritorno alle condizioni di partenza, ovvero “stato di singolarità”, a cui farebbe seguito, per effetto di rimbalzo, il perpetuarsi d’un altro inizio (Big Bang).
“Il tempo nasce insieme all’universo dallo stato di singolarità che lo avrebbe preceduto?” Suona un quesito “umano, troppo umano” (Menschliches, Allzumenschliches)! Oppure si tratta d’una domanda senza senso, in quanto rispecchia l’assurdità della situazione in cui l’azione a cui si fa riferimento non risulta collocabile in seno alla medesima dimensione spaziotemporale.
Alan Guth, in “The inflationary Universe…” (1997), ha affermato: “Si dice spesso che la natura non offre pasti gratuiti. E invece sì, tutto l’universo è un pasto gratuito”.
Ma “Se l’universo è la risposta, qual è la domanda?” (…If the Universe Is the Answer, What Is the Question?, 1993), si è chiesto Leon Lederman. E “Goddam particle”, maledetta particola, è la definizione originaria per bosone di Higgs.
Dotata di forza scambiabile, appartiene alla categoria della forza nucleare “forte”. Poiché, a seconda dell’intensità della forza stessa e del tipo di particelle con le quali interagiscono, le particelle medesime si classificano come gravitazionali, elettromagnetiche, nucleari “deboli” e nucleari “forti”.
“Quelle che alle basse energie sembrano varie particelle completamente diverse, risultano invece essere lo stesso tipo di particelle, solo di stadi diversi”, chiarisce Stephen Hawking. Imprimendo a esse delle velocità vertiginose, oltre un certo limite, decresce la velocità e aumenta la loro massa. Quindi, col diminuire dell’energia, si crea materia, secondo la nota formula einsteiniana.
Non potendo concepire altro spazio che non sia questo universo nel quale ci troviamo inglobati come in una bolla di sapone, non potremo mai sapere se questa nostra bolla non sia a sua volta porzione infinitesimale d’una schiuma più vasta!
La fisica quantistica s’è sviluppata attorno a un nodo centrale, quello del principio d’indeterminazione di Werner Heisenberg, con l’imprescindibile risultato di un’imprevedibilità, di fatto, dei fenomeni e abbattimento del tabù dell’intangibilità d’una consequenzialità causa-effetto. La doppia natura posseduta da certe particelle elementari, quali i fotoni, o quanti di luce, che posseggono sia natura ondulatoria che corpuscolare, non ci consente di rilevare entrambe contemporaneamente. Tali dimensioni parallele predispongono all’ipotesi che l’universo che abitiamo non sia proprio l’unico possibile. Non uni-verso, bensì, multi-verso, in quanto molteplice. Le coordinate spaziotemporali strettamente legate tra loro fanno crollare l’assolutismo di queste dimensioni, in funzione dello spostamento relativo dell’osservatore in un “altrove”. La sincronicità in un simultaneo, perenne perpetuarsi di tutti gli eventi, in un infinito numero di altrove, permette la convivenza tra sovrapposizione e coincidenza.
Lo studioso della psicologia del genere umano dovrebbe pragmaticamente ravvisare in ogni idea quegli elementi in grado di interagire con la concretezza dell’esistenza. Se l’annuncio della morte di dio, con la consapevolezza della propria caducità, non inducono più angoscia nell’Űbermensch, anche il tragitto dal passato al futuro, nell’inglobare il presente, risulta un continuum inseparabile dal resto, in un tutt’uno identico, costantemente rinnovantesi per colmare il vuoto lasciato da quell’assenza di dio.
Con “spirito dionisiaco”, come sostiene Eugen Fink, occorre “partecipare al gioco dell’essere e del divenire”, poiché lo stesso Nietzsche aveva ammesso: “Non conosco altra maniera di trattare i grandi compiti che non sia il gioco: fra i segni della grandezza, questo è un presupposto essenziale”.
Il presentimento del nostro vate, poeta-profeta, ci consegna al destino che obbliga a replicare quanto già compiuto da un Űbermensch precedente, costringendo l’attuale successore a non ricopiarlo passivamente, bensì erogando la dismissione di quei “quanti” di potenza in grado d’infondere nuova energia al compimento del prossimo giro di boa.
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