Fumetto
Onora il padre
Fra un secolo, evidentemente, di noi non esisterà probabilmente più nemmeno il ricordo: la conoscete, no?, quella massima ricorrente in varie iscrizioni tombali “ciò che tu sei io ero, ciò che io sono tu sarai”. Se questo rimando vi sembra magari un po’ humour noir, nulla di più coerente con questo nostro contesto, perché in qualche modo di noir ci occuperemo nelle prossime righe. Supponiamo infatti che fra un secolo qualcuno si dedichi alla stesura di una storia del giallo italiano, che per allora – se dovesse continuare il vivace trend attuale – avrà assunto chissà quale sviluppo. Ebbene, a quel punto sicuramente il nostro estensore di quella storia non potrà che rilevare in Giorgio Scerbanenco il fondamentale punto di svolta di quella narrativa. Al punto che se lui stesso potesse intervenire nell’esprimere un giudizio sulla numerosissima schiera di autori italiani moltiplicatisi in maniera esponenziale fra gli anni Ottanta del Novecento e la prima decade del Duemila (e molto, presumibilmente, anche dopo) altro non potrebbe affermare se non Erano tutti miei figli, come nel titolo di un famoso film drammatico americano del 1948). In effetti, chi conosca come si è andata evolvendo negli ultimi decenni questa importante costola della narrativa, si rende conto già ora di che entità sia stato il peso e il ruolo di quel grande scrittore, il quale con sorpresa di tutti esplose nel 1968 all’attenzione della critica di casa nostra vincendo con Traditori di tutti a Parigi il Grand Prix de la Littérature Policière. Che era una consacrazione internazionale per un Paese come il nostro, allora giallisticamente provincialotto. (Certo, non è più così oggi, quando abbiamo autori che hanno dato nel settore anche capolavori degni di stare al fianco delle più celebrate opere di questo “genere”: per non parlare del giustificatissimo successo mondiale di Andrea Camilleri col suo Montalbano).
Tutto questo preambolo per dire, da una parte, quanto sia sempre giustificato e benvenuto un saggio che ci occupi di Scerbanenco; e dall’altra, tanto meglio se la sua prospettiva di approccio sia quella di esaminare come lo straordinario exploit del Nostro fosse in realtà il coronamento di un precedente cammino, lungo e coerente. È la sostanza concettuale del saggio Giorgio Scerbanenco e il cuore nero del giallo dicasa nostra , nel quale Guido Reverdito percorre appunto tale parabola, proponendo anche spunti e considerazioni inedite. Magari capaci di prestarsi alla discussione, ma ciononostante non prive di un certo sapore di novità. In sostanza, nel corso dei suoi sei sostanziali capitoli (seguiti da una conclusione e da una consistente bibliografia, orientata in particolare a tutta l’opera dello Scerbanenco successivo, quello appunto fondamentale), Reverdito evidenzia come il Nostro avesse scritto altre serie già canoniche, sviluppando in particolare quella dedicata ad Arthur Jelling, bibliotecario fisicamente handicappato ma dal cervello raffinatamente analitico e investigatore dilettante. In sostanza, quindi, un approfondimento dello Scerbanenco delle origini di una entità mai affrontata in precedenza. E pertanto capace di soddisfare la curiosità di qualunque appassionato.
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