Corriere della Sera
Ruby, l’ultima mossa della difesa: quelle intercettazioni inutilizzabili

MILANO – In mano a cacciavite, pinze e tenaglie dei difensori in Appello di Silvio Berlusconi, la condanna in primo grado per il caso Ruby a 7 anni per concussione e prostituzione minorile sembra una di quelle fiammanti automobili che – allenta una vite qui, sfila una cinghia là e smonta una gomma più in là – alla fine restano scheletri di carrozzeria senza più ruote, cambio e motore. Il primo «meccanico» della difesa, il professor Filippo Dinacci, punta a segare direttamente il «telaio» della vettura processuale basata sui tabulati telefonici. L’8 aprile 2014 una sentenza della Corte di giustizia europea (di immediata operatività nell’ordinamento interno) ha dichiarato «invalida» la direttiva 2006/24 sui dati personali recepita nel 2008 nella norma che regola l’acquisizione dei tabulati telefonici; e come parametri minimi ha additato la necessità di prevedere «categorie di reati» e un «previo controllo effettuato da un giudice». La loro assenza sinora in Italia determina, per Dinacci, l’inutilizzabilità (cioè il divieto di valutazione) dei tabulati pur legittimamente acquisiti all’epoca, in quanto il principio per cui il tempo regge l’atto processuale è riferito dalle Sezioni unite di Cassazione (del 1998 e 2004) «al momento della decisione e non a quello dell’acquisizione». Poi ci sono le prerogative parlamentari dell’ex premier asseritamente aggirate dall’uso di tabulati delle sue ospiti ad Arcore: «Le utenze sotto controllo hanno avuto 1.732 contatti con quelle di Berlusconi, le utenze di cui sono stati estratti i tabulati hanno avuto 6.132 contatti con Berlusconi: come si fa a dire che non era già chiara la direzione dell’atto di indagine?». Quindi rimarca il «disallineamento temporale» tra «la captazione» delle intercettazioni «e la loro registrazione» (che per legge deve avvenire solo) «sui server della Procura»: e se per 11.000 file ballano appena un paio di secondi e per 9.000 un minuto, «per 4.000 file il ritardo appare di un’ora, e per 1.607 addirittura di 2 ore». Il che induce Dinacci a porre l’interrogativo tecnico, stante il dietrofront dei pm (prima sì e poi no) a far accedere la difesa al server, e l’autoattestazione della società che lo gestiva.A provare a smontare il «motore» della concussione per costrizione, e cioè la telefonata la notte del 27 maggio 2010 di Berlusconi al capo di gabinetto della Questura Pietro Ostuni, si dedica il «meccanico» professor Franco Coppi. «Concusso è solo chi è sotto inesorabile minaccia, privo di alternative, spalle al muro, vuole solo evitare danni ingiusti e non conseguire alcun vantaggio». Coppi richiama più volte uno studio del 2013 del professor Gianluigi Gatta sulle modalità della condotta di minaccia penalmente rilevante, già dall’«etimologia del concutere, lo scuotere l’albero finché ne caschi il frutto. Ma Ostuni non è l’albero e l’affidamento di Ruby a Minetti non è il frutto: la sentenza alla fine è costretta a riconoscere che la minaccia risiederebbe esclusivamente nel fatto che la telefonata arriva dal premier». Ma così, rincara Dinacci, «cadiamo nel reato da tipo d’autore, nella responsabilità oggettiva per posizione: allora, se un magistrato telefona all’ufficio passaporti e chiede se per cortesia sia possibile velocizzare un documento per il figlio in partenza, per il suo ruolo fa già concussione? Ma no». Coppi, sempre sulla scia di Gatta, invita a distinguere la minaccia costrittiva dal «timore reverenziale, dai moti interni a Ostuni che non dipendono dalla condotta di Berlusconi, dalla soggezione psicologica verso chi ha ruolo superiore. Ma non è protetto dal diritto chi non ha il coraggio di dire no: e se Ostuni al massimo si è sentito condizionato dalla richiesta di Berlusconi, se ha avuto timore reverenziale verso chi magari ha pensato di compiacere, questi (lo dico elegantemente) sono fatti suoi, non ricollegabili a una minaccia di Berlusconi». «Nel lessico dell’imputazione» c’è per Dinacci «la verità: in Procura chi l’ha scritta aveva in testa un abuso d’ufficio, ma siccome senza contenuto patrimoniale non avrebbe avuto rilievo penale, c’è stata la torsione in concussione». Per l’accusa Ostuni, poiché subito verifica che è una balla di Berlusconi la storia di Ruby parente di Mubarak, percepisce come intimidazione proprio il sentirsela proporre dal premier. Ma per Coppi «solo un pazzo incosciente avrebbe usato una bugia con le gambe cortissime: è invece segno che Berlusconi credeva davvero Ruby parente di Mubarak, e non la sapeva minorenne, tanto da poi subito allontanarla. La riprova è che, quando dopo 8 giorni Ruby è di nuovo in Questura, nessuno più fa nulla e Ruby finisce in comunità». Anche la prostituzione minorile si reggerebbe su «deduzioni di deduzioni: siccome altre serate con altre ragazze sarebbero finite in un certo modo, anche nelle serate di Ruby ad Arcore sarebbe andata così: è sufficiente mettere un piede ad Arcore e si è già nel letto del padrone», ironizza Coppi. E una motivazione «apparente e circolare», per Dinacci, «fraziona il tutto e contrario di tutto detto da Ruby per riscontrare le sole 8 testi valorizzate dal Tribunale, e poi usa le 8 testi per «riscontrare Ruby».

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