Extra music magazine
…e distillando sogni. L’alchimia dei cantautori e la poetica di Stefano Rosso

Secondo saggio dedicato a Stefano Rosso, cantautore e chitarrista tra i più interessanti emersi dalla RCA italiana negli anni 70, dopo la prematura scomparsa nel 2008 a 59 anni (come Freak Antoni: che ci esista un club 59, oltre a quello 27?), questo di Santino Mirabella è un’opera con luci e ombre, ma nel complesso positiva.

Il sottotitolo L’alchimia dei cantautori e la poetica di Stefano Rosso promette più di quello che il saggio è in grado di mantenere, in realtà: ma non si può dire che Mirabella, anche giudice e poeta (una figura quasi duecentesca, nel senso buono), non provi seriamente a inquadrare il lavoro di Stefano Rosso nell’alveo del grande fiume della canzone d’autore che è stato uno dei dominatori della musica italiana dagli anni 60 in poi. E lo fa in diversi modi: con un’ampia Premessa in cui riflette su modi, significati e caratteristiche del fenomeno “cantautori” in Italia; schierando due prefazioni di Claudio Lolli e Franco Battiato; chiudendo il libro con un’intervista a Mario Venuti e Luca Madonia (entrambi ex-Denovo); ricordando brevemente, a introduzione di ogni disco di Stefano Rosso, qual era lo stato dell’arte dei “colleghi cantautori” in quell’anno. Se Lolli regala una paginetta in cui rievoca il senso che per lui ha avuto essere cantautore negli anni 70, Battiato (che poi, più che cantautore, sarebbe musicista a tutto tondo, che nasce nell’ambito del krautrock, passa all’avanguardia colta, attraversa a modo suo la New Wave, e finisce quindi per trovare una sua personalissima cifra stilistica in equilibrio tra sperimentazione rock, elites colte, suggestioni medio ed estremo orientali, tradizione classica) ricorda i suoi esordi come chitarrista di Ombretta Colli (aneddoto succoso e prezioso, ma che c’azzecca?), e Venuti e Madonia ricordano all’autore di essere più che altro musicisti pop rock.

Nella Premessa, poi, ci sono alcune affermazioni discutibili: a partire da quella secondo la quale uno specifico della canzone d’autore sia quello di partire generalmente dalla composizione del testo per costruirci poi sopra e intorno la musica. Non è così, generalmente, invece: qualsiasi cantautore è prima di tutto musicista e, al massimo, i primi abbozzi di musica e parole nascono insieme. Ciò conduce a un secondo abbaglio: nonostante Mirabella ricordi la sacrosanta dichiarazione di Vecchioni per cui nella canzone d’autore (ma io direi in qualsiasi tipo di canzone) musica e parole costituiscono “un’unità narrativa e metrica inscindibile”, tanto che “non si può separare musica e testo”, poi se ne dimentica e si concentra esclusivamente sui testi di Rosso, cadendo nel vecchio vizio della critica musicale italiana, di solito digiuna di conoscenze musicali.

Anche nelle cinque caratteristiche distintive della canzone d’autore che Mirabella individua, distinguendola tanto da poesia quanto da canzonetta di consumo, ci sono delle incongruenze: il testo presenta sì delle caratteristiche stilistiche (oltre che di significato) più raffinate della canzonetta di consumo, ma non rispetto alla poesia; che la musica della canzone d’autore non segua moduli convenzionali è opinabile, dato che, ad esempio, i cantautori degli anni 60 erano fortemente influenzati da soft rock e chanson francaise (si pensi a Paoli o Meccia) e una parte sostanziosa di quelli degli anni 70 sono influenzati da stilemi blues e country (De Gregori, Bennato, lo stesso De André da Canzoni in poi); che “nei primi anni” della sua esistenza la canzone d’autore abbia avuto un arrangiamento “spesso scarno” è contraddetto dal lavoro di Morricone e Bacalov per gli artisti della RCA italiana; anche l’essere espressione di una generazione è un luogo comune, più che una verità acclarata, dato che milioni di ragazzi e ragazze compravano e ascoltavano altri generi musicali.

Mirabella passa poi ad esaminare disco per disco la produzione di Rosso: è questa è la parte senza dubbio positiva del libro, al di là degli intenti, sempre encomiabili. La ricognizione puntuale, brano per brano, permette di ripercorrere i frammenti del mosaico dell’opera rossiana (non si dice “rossista”, Mirabella, dai!), che si estende ben al di là delle fortunate Letto 26 e Una storia disonesta, che ne hanno decretato la popolarità nella seconda metà degli anni 70. Mirabella ricostruisce anche scampoli della vita professionale di Rosso che aiutano a inquadrare il contesto in cui si è mosso il cantautore romano: intervista regista ed attrice del cortometraggio inteso a promuovere il suo Lp Vado, prendo l’America… e torno! del 1981; ricostruisce brevemente i fatti storici che hanno influito sul clima dei tempi (ma a volte scorrettamente, come alle pp. 79-80 – e non è l’unico caso -, premettendo ai fatti stessi una lezioncina morale di cui non si sente il bisogno). Meritoriamente, Mirabella non trascura neppure i diversi dischi dedicati da Rosso alla chitarra fingerpicking e al banjo, dove mischia standard della tradizione a composizioni originali, spesso strumentali, evidenziando la natura di musicista, prima che di cantautore, del chitarrista romano. Dispiace invece che a Mirabella sia stato negato dall’Archivio Rai di Torino l’accesso ad alcuni filmati storici (ma perché? Non dovrebbe essere un servizio pubblico? Alla faccia!).

Sorvolando su alcuni refusi e alcune imprecisioni terminologiche, alla fine manca però quanto promesso dal sottotitolo, ovvero l’esame della poetica di Stefano Rosso, perché all’analisi non segue la sintesi, il tirare le fila che inquadra e determina costanti e varianti di tematiche e stilemi rossiani. Ciononostante, il libro è il primo serio tentativo di analisi e inquadramento dell’opera di Rosso e quindi merita rispetto e si guadagna l’attenzione degli appassionati. Ma si può fare di più.

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