Corriere della Sera
Francesco, 30 anni: "da precario a venditore di povertà"

Oggi ospitiamo l'intervento di Francesco Petrone, 30 anni, di Marsicovetere in provincia di Potenza, laureato in Filosofia a Napoli e in Scienze politiche a Bruxelles, ora dottorando a Barcellona e autore di "Quando la Onlus diventa un guadagno. Tecniche per arricchirsi salvando i bambini" (Aracne, 2012), ricostruzione di un'esperienza di (de)formazione nel mondo dei "venditori di povertà" al quale è approdato dopo i lavori più diversi, dal call center al montaggio di macchinette per il caffè. La sua è una riflessione sulla fragilità degli ideali e su quella pericolosa saldatura tra congiuntura negativa, disoccupazione e precarietà esistenziale che mette a dura prova le nostre convinzioni. Anche quelle più radicate possono vacillare quando la libertà di scelta è ridotta ai minimi termini. A quanti giovani precari capita regolarmente di dover accettare regole che non condividono e quanti, prima o poi, si annullano in un sistema che non li rispecchia?Anno 2008, età 26 anni (quasi 27), città: Roma. Dopo un lungo periodo all'estero, per approfondire i miei studi, le mie conoscenze linguistiche e le mie esperienze professionali, sono rientrato in Italia. Il contatto col luogo natio, a dispetto della globalizzazione che ci vuole "flessibili" e pronti a muoverci ovunque nel mondo, era diventato quasi indispensabile. Dopo quattro anni trascorsi tra Belgio e Spagna, con una breve tappa tra Irlanda ed Inghilterra, era arrivato il momento di rientrare in Italia, cercare un lavoro e riadattarmi nel mio Paese.All'inizio, caricato da un forte ottimismo, ho mandato curricula ovunque, cosciente che il "qualcosa di meglio" viene sempre dopo il lavoro di sopravvivenza, cioè l'adattarsi alle prime occupazioni utili per sbarcare il lunario. In giro per Roma, città caotica e spesso selvaggia, ne ho viste di tutti i colori. Ho fatto molti colloqui, tutti per posizioni di vendita. Non mi aspettavo di trovare una buona sistemazione appena arrivato, ma il fatto che la maggior parte delle offerte fossero nel marketing, soprattutto face to face, mi ha sorpreso. Il mio primo dubbio è stato: "Chi compra in tempo di crisi?".Non avevo ancora una risposta, ma dopo tutti quei colloqui ho scoperto quante cose si possono vendere: riviste di caccia, aspirapolvere, libri, spazi pubblicitari e... povertà! Eh sì, anche la povertà. Inizialmente, quando sono stato chiamato al colloquio per una grande Onlus per i diritti dei bambini, pensavo che l'attività fosse normale e che le Onlus avessero bisogno del supporto da parte di queste imprese per portare a termine i progetti che hanno. Poi, però, quando ho scoperto tutto ciò che c'è dietro, la mia fede nella filantropia (almeno sotto le forme di aiuti umanitari) ha vacillato profondamente. Sia ben inteso, nel mio libro non parlo di come le Onlus "rubino" i soldi o ne facciano un uso distorto. La principale preoccupazione del mio lavoro è rivolta a come un sistema piramidale, profondamente capitalista e opportunista, si applichi alla ricerca dei fondi da parte di queste organizzazioni. Le domande di base sono: 1) come mai le Onlus hanno bisogno di questi partner per generare profitti? 2) come si fanno a motivare i dialogatori a "vendere povertà"? Alla prima domanda rispondo, in base alla mia esperienza e all'idea che me ne sono fatto, che lo scopo di molte Onlus è la ricerca di visibilità. La seconda domanda è il motivo centrale del libro.Posso brevemente dire che in un'epoca in cui esistono una precarietà strutturale, una disoccupazione dilagante e delle aspettative continuamente frustrate, far presa sulla voglia di riscatto della nostra generazione è semplice.Nel mio caso, convinto di poter fare una "gavetta" che poi mi avrebbe portato ad un'occupazione migliore all'interno della Onlus (ho studiato Filosofia e Scienze politiche, parlo cinque lingue e ho già delle esperienze attinenti al settore), ho accettato l'incarico entrando, però, in un mondo completamente diverso da quello che mi attendevo. L'impresa, che nel libro ho ribattezzato "Serpente marketing", ha una struttura piramidale, in cui "chi sta su" guadagna percentuali sugli altri (arrivando a cifre stratosferiche), mentre "chi sta giù" lotta in continuazione, mettendo in pratica le tecniche di vendita affilatissime che vengono insegnate, come in una setta, alla Serpente. Il loro fine è quello di poter arrivare un giorno nelle posizioni alte e guadagnare, di conseguenza, anch'essi stipendi a dir poco succulenti.Ebbene, non è raccapricciante pensare che le persone che girano per strada, indossando delle magliette con il logo di grandi Onlus in cerca di sostenitori, siano motivate da finalità apparentemente filantropiche, mentre la realtà è che aspirano a fare tanti soldi "vendendo povertà"? Non è assurdo scoprire che esistono tali attività, pregne di falsità ed ipocrisia, apparentemente "buone" ma motivate da finalità ciniche?Dopo oltre un anno di lavoro alla Serpente, sono giunto alla conclusione che le persone, a

Link al sito
Informativa      Aracneeditrice.it si avvale di cookie, anche di terze parti, per offrirti il migliore servizio possibile. Cliccando 'Accetto' o continuando la navigazione ne acconsenti l'utilizzo. Per saperne di più
Accetto