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Lev Šestov, il filosofo che soppesa la ragione sulla bilancia di Giobbe

Un filosofo contro la filosofia, non è un serpente che si morde la coda? Non è, per dirla con Wittgenstein, tagliare il ramo sul quale si sta seduti? E in forza di cosa, se si mette sotto accusa la ragione, si potrà ragionare? Eppure, a cavallo tra il XIX e XX secolo, l’ebreo ucraino Yeguda Leib Shvarcman ben Isaak (1866-1938) – a noi noto con lo pseudonimo di Lev Šestov – osò in nome di “Gerusalemme” sfidare “Atene” ovvero l’arroganza e la pretesa assolutezza della ‘ragion pura’, che dai giorni di Kant, nel frattempo, si era trasformata in ‘ragion storica’ (Hegel) e infine in ‘ragion scientifica’ (con il positivismo, nel quale affondano le radici tutte le scienze del Novecento). Chi ha osato tanto? Chi è questo Šestov, che ha vissuto la seconda parte della sua vita da esule, a Parigi, combattendo una sua personalissima guerra ‘contro le evidenze’ per salvaguardare quelle verità – ossia quelle in-evidenze esistenziali – che nessun sistema razionalista riesce a scoprire, e tanto meno a spiegare? Lo studioso di pensiero ebraico Alessandro Paris ha da poco scritto un breve ma intenso saggio che è la miglior introduzione alla vita e al pensiero di questo autore che sia in circolazione in Italia. Si intitola Lev Šestov. Verso Gerusalemme, edito da Aracne (pp.112, 10 euro): da un lato il saggio colloca un pensatore così controcorrente nel contesto dei fermenti filosofici che segnarono l’inizio del secolo breve; dall’altro lato ci restituisce l’inquietudine di questo cercatore della verità che individua nel tema del male e della sofferenza il luogo sorgivo e più autentico di ogni ‘fare filosofia’. [...]

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