
Flanerì
Intervistiamo Michele Marseglia, autore de La formazione culturale di Gramsci (Aracne, 2010 - prefazione di Abdon Alinovi), opera che nel 2009 ha vinto il I Premio letterario internazionale per la sezione "Saggistica inedita" indetto dalla Associazione Casa Natale Antonio Gramsci di Ales (OR), XI edizione.Innanzitutto grazie per l'intervista. Iniziamo con una domanda di rito: nel 2010 un'opera su Gramsci. Perché?Grazie a te Matteo... posso dirti che non mi sorprende la domanda? Sì... perché forse è la prima che può venire in mente in un periodo di crisi politica e di sconfitta della sinistra sicché riferirsi a chi di quella sinistra che nel 1921 ne ha fondato un protagonista non più esistente può evocare schemi di archeologia filosofica.Ma in un periodo di decadenza culturale in cui la falsa modernità della banalizzazione del pensiero, che non pensa, ma consuma se stesso, sembra aver preso il sopravvento, le nuove generazioni non hanno molti riferimenti cui ispirarsi e la massificazione del livellamento appiattito dei media impone un dovere di interrogare il passato per capire il presente e non solo di conservazione della memoria.Parlare di Gramsci nel 2010/2011 non è, quindi, un esercizio accademico, per riscoprire il passato; cioè l'attualità di Gramsci non conosce scadenze tanta è la fecondità inesauribile del suo pensiero.Il mio testo, che non nasce oggi, ha trovato negli anni il suo affinamento e il suo aggiornamento; esso vuol contribuire, nei limiti consapevoli di questo obiettivo, ad un ampliamento della conoscenza dell'origine del suo pensiero e delle sue idee prima dell'Ordine nuovo e al di qua dei Quaderni...Un patrimonio inestimabile, ancora per certi versi inesplorato, quello gramsciano, un "immenso arsenale di intuizioni politiche e culturali": io ho voluto offrire, pur conscio dei limiti del mio lavoro rispetto a quelli di ben più autorevoli studiosi gramsciani, alle nuove generazioni, con il riferimento al periodo giovanile della sua vita, anche un ricordo di un grande italiano, la cui presenza nel mondo, a settantatre anni dalla morte, è innegabile specie nel mondo anglosassone, in America latina, in Asia.Parlando di Gramsci nel periodo 1910-1918 ci si vuole focalizzare sul giovane intellettuale che arrivato a Torino si avvicina, tramite l'ambiente universitario, al Partito Socialista per poi intraprendere il suo personale percorso umano e politico. Ci può spiegare in grandi linee questa fase?Il mio libro, come, credo, hai potuto notare, non è una biografia, ma una sorta di ricerca sulle fonti e l'Ateneo Torinese con la sua vitalità culturale e accademica è il centro formativo di questo periodo.È lo stesso Gramsci a definire questa esperienza personale come un vero garzonato universitario in cui si forgiò il suo spirito di ricerca in contrasto con l'approssimazione della cultura delle Università popolari. Questo affinamento intellettuale non riveste un ruolo esclusivamente caratteriale ma comporta l'acquisizione un metodo di un vero habitus che favorirà il rigore sistematico dell'approfondimento dei Quaderni.Nell'affresco formativo della sua personalità in sviluppo si stagliano sullo sfondo le lezioni di docenti che sanno infondere al giovane Gramsci i rudimenti di un rigore culturale e metodologico ma anche gli strumenti per superare la separazione del pensiero dall'azione.Lo spaesato Gramsci, giunto nella grande città, cementa rapporti solidali con i suoi colleghi studenti più vicini anche se i contatti non sono frequenti come Tasca, Terracini, Togliatti e stabilisce con taluni docenti (Cosmo, Bartoli, Solari, Farinelli) un rapporto che crea la temperie formativa culturale di un ambiente prima che di una vita accademica.L'ambiente universitario torinese costituisce dunque una preparazione eccellente di base per la formazione di questi e del giovane Gramsci.Gramsci supera il meridionalismo e il "socialismo contadino" salveminiano. Nel suo saggio c'è un passaggio in cui parli dell'abbandono del Sud da parte dello stato unitario. Può spiegare ai nostri lettori questo "separatismo alla rovescia"?In verità nel libro queste espressioni sono usate per indicare l'abbandono dello Stato unitario dalla Sardegna nel quadro dell'acuirsi del divario tra Nord e sud, una sorta di abbandono e distacco non solo geografico dello Stato unitario dall'isola che alimentava quel sovversivismo antistatale del giovane Gramsci dettato dalla condizione di arretratezza e di isolamento non solo geografico della Sardegna d'inizio del secolo scorso.Cosa pensa della "questione meridionale" che si ripropone ancora una volta in questo primo decennio del nuovo millennio?Purtroppo si tratta di una questione vera ma dimenticata dall'agenda politica e anche l'esasperazione leghista della cura degli interessi del Nord non è servita a riproporla nei termini attuali che lo stato della crisi sociale e politica del Paese imporrebbero.Come padri prima ancora che come studiosi assistiamo impotenti
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