Nigrizia
Una negretta a Bergamo

Vediamo i ragazzi che frequentano le scuole, ci accorgiamo che il nostro paese è diventato a colori, che i nuovi italiani possono avere gli occhi a mandorla o la pelle scura… vediamo che la nostra cucina si è arricchita di nuovi aromi e spezie. L’Italia è un paese multiculturale. E continuiamo a sorprenderci?

L’italo-rwandese Marilena Delli Umuhoza, documentarista, fotografa e scrittrice ci dà una mano a superare ogni stupore. Con uno stile fresco, immediato, a volte provocatorio racconta il difficile equilibrio di essere italiani tra integrazione e diversità. «Buongiorno a tutti, sono Marilena, abito a Bergamo e sono mulatta». Così si presenta il primo giorno alle scuola superiore.

Crescere negli anni ’80 e ’90 nel profondo nord non è stato facile. «Bergamo è una città che mi ha sfidata. Qui sono nata, cresciuta e qui insultata ed oggi sono orgogliosa di essere italiana al 100%». Marilena scopre il colore della propria pelle il primo giorno di scuola: «Quando mamma mi accompagnò in classe, fui assalita dal panico e scoppiai in lacrime. Un classico. Cercai piano piano di ambientarmi e fare conoscenza con i miei compagni. Quelli, però, o mi guardavano come un’appestata o manco mi rispondevano: per tutti ero la “negretta”».

Vincendo la rabbia con l’ironia, Marilena cerca la sua identità nel paese dove è nata con un colore diverso, poi in Africa dove il colore non è quello giusto. Le radici afro-italiane diventano più scomode. «Quando arrivai in Rwanda con mamma scoprii che quella non era casa mia, ma la sua. Lei aveva una cosa che io non avevo mai avuto: un paese che le apparteneva, un’identità di cui nessuno dubitava». Lei stessa – racconta durante una presentazione del libro – aveva sempre trovato difficile capire a che posto appartenesse.

In Italia se i bambini la prendevano in giro, gli adulti le dicevano “Come parli bene l’italiano” o “Sei brasiliana?”. Da adolescente rifiutava di uscire con ragazzi neri, tutto in lei era “bianco”: si stirava i riccioli, usava saponi sbiancanti, stava lontana dal sole. All’università scopre le sue radici, interessandosi al cinema, alla fotografia, alla storia d’Africa…

Durante il primo viaggio in Africa cerca risposte: se non l’Italia, dove era vista e trattata come straniera, doveva essere il Rwanda la sua terra. Ma niente. Nei gesti della gente, nel cibo, nei loro occhi riconosceva la mamma. Una bella sensazione, profonda, che ti lega a un luogo, a una cultura. Che però non è la sua: in Italia la chiamano negretta, in Africa è muzungu (bianca).

Oggi può dire di aver trovato la sua identità. «Il mio paese è l’Italia, soprattutto l’Italia di oggi, che mi rispecchia di più rispetto a 30 anni fa». Una volta era l’unica bambina nera in classe; oggi gli studenti di origini straniere sono la regola. È un’italiana orgogliosa delle proprie origini africane.

Cécile Kyenge, europarlamentare e già ministro per l’integrazione, in prefazione: «Il razzismo è una forma di cecità. Il mondo del razzista è povero di varietà, incapace di sorpresa, privo di occasioni per incontrare davvero gli altri. Queste pagine esprimono talvolta rabbia, ma una rabbia che non è disgusto. Più ancora che un libro arrabbiato, è uno scritto pervaso di gentilezza e di affetto verso un paese che sta mutando e crescendo, che pian piano sta capendo il valore dell’uguaglianza nella differenza».

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