Corriere della Sera - Bergamo
Io, nera italiana tra razzismo e vergogna

Tutto quello che era nero era un difetto. Quando la mia cagnolina ebbe un cucciolo nero lo buttai giù dalle scale
Come si cresce in un paese della Bassa Bergamasca in cui nessun altro ha il colore della pelle che hai tu? E dove a scuola nessuno ti parla, dove sul pulmino ti insultano, e in una famiglia in cui il padre è un ex missionario comunista e insieme leghista che impreca contro gli immigrati? Le risposte sono nel libro «Razzismo all’italiana» scritto da Marilena Umuhoza Delli (Umuhoza significa Consolatrice) che racconta storie di piccolo razzismo quotidiano e una vita da film. A partire dal padre, prete partito da Verdello per fare il missionario tra i lebbrosi in Malawi ma andato in crisi a 40 anni: «Gli dissero di prendersi una pausa. Lui andò in Ruanda e lì conobbe mia madre», racconta Marilena, 34 anni, 5 lingue, che dopo un lungo impegno da traduttrice ora lavora come fotografa e documentarista con il marito Ian Brennan, produttore discografico specializzato in world music vincitore di un Grammy e candidato ad altri 4.
«Si sono sposati 8 anni dopo, io ormai ero grande. Quando avevo 4 anni ci siamo trasferiti a Zingonia, dove mio padre aveva trovato un posto da custode in una ditta».
Primo giorno di scuola a Ciserano e primo trauma.
«Non mi ero mai resa conto di essere diversa dagli altri. Adesso è normale vedere ragazzi neri in giro per le strade, sui bus, nelle scuole. Nel 1986 nel mio paese ero l’unica. Sono arrivata in classe agitata e piena di entusiasmo. Ma ho trovato solo il silenzio. Per un anno intero nessuno mi ha mai parlato, tranne quando per il mio compleanno mia madre ha portato una torta. Quelli più grandi sul pulmino intonavano cori: “Che puzza”, “Negra di m...”, “Disinfettate tutto”. A volte anche l’insegnante mi chiamava “negretta”».
Dopo il primo anno cambio di paese e di scuola, ma le cose non sono cambiate.
«Il consiglio dei miei genitori era quello di non reagire e non dire niente perché i bambini non si rendevano conto di quello che dicevano. Io stavo zitta ma soffrivo e questa sofferenza si accumulava. Avevo una stima bassissima di me e questa insicurezza per la trascino ancora adesso». E la visione del mondo era divisa in due colori: «Non c’era nessun modello di persone nere in cui riconoscermi. Avevo bambole bianche e immaginavo che avrei avuto solo figli bianchi. Tutto quello che era nero era un difetto. Quando la mia cagnolina ha fatto un cucciolo nero l’ho buttato dalle scale. Mi sfregavo la faccia per farla diventare più chiara, mi stiravo i capelli fino a rovinarli, davo sempre ragione al Papà e non alla mamma».
Ma come si vive da nera con un padre leghista?
« Era un leghista con un cuore comunista, e con un passato come il suo mi rendo conto che era una contraddizione. Quando vedeva gli sbarchi in tv diceva: “Ma perché non stanno a casa loro?” Io cercavo di non sentire, la Lega era in casa mia. Forse è leghista è anche mia madre, che soffrì il razzismo anche in Ruanda, quando la sua etnia tutsi era stata prima discriminata e poi massacrata. E sono leghisti anche tanti miei amici».
Lo scopo di questo libro qual è?
«Voglio raccontare di chi cresce a cavallo di due culture, in un Paese che è cambiato moltissimo e in cui la gente come me prima vendeva solo accendini ai semafori, ma adesso ha anche ruoli più importanti. Credo che la mia sia una storia simile a quella di tanti altri, e spero che molti si riconoscano e crescano meglio in un Paese in cui soffrono ma che amano, come io amo tantissimo l’Italia e anche Bergamo. Sono anche tifosa dell’Atalanta...».

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