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Recensione di In fondo, la luce. Racconti in prima persona di Silvia Morante

L’antologia di racconti in prima persona di Silvia Morante, In fondo, la luce, edita da Aracne, ha per me rappresentato una lieta scoperta e parallelamente un’ardua sfida. Lo sforzo di resilienza organica che ho dovuto apportare per non creare falsi Moloch a priori sulla base del pesante, letterariamente parlando, cognome dell’autrice, è stato di cospicua entità, tuttavia si è rivelato fruttuoso per la corretta predisposizione alla lettura. Fin dalle prime pagine di una impostazione narrativa che definirei triadica, ovvero composta di tre categorie di senso cui afferiscono tre tipologie di racconto differenti ma tutto sommato collegate, entità non sature a priori, veniamo condotti in una dimensione contenutistica ordinata e ben definita. Di più: arguirei ridefinita, in quanto i primi racconti della Morante sono degli epiloghi, dei finali possibili di cui la scientificità della narrazione, e forse su tale espediente che tanto ricorda il bel gioco semantico de Il castello dei destini incrociati di Calvino avrei insistito maggiormente, contribuisce a mantenerne godibili i tratti. Fondamentalmente una questione di coerenza.“Questa volta, se non conoscessi il valore della mia arte, avrei forse il diritto di lasciare che le cose seguissero il loro corso, ma io ho il dovere di chiudere con coerenza il lavoro iniziato. Io so che il prezzo da pagare è la più totale solitudine; io so che, perché tutto sia veramente perfetto come deve essere, tutto quello che ho fatto non dovrà mai essere rivelato, ma devo ammettere che, per la prima volta, sento un po’ la mancanza di un pubblico plaudente.”Incognite contemporanee, l’infanzia e il ricordo, ma anche l’informazione televisiva e quella del web, in un dipanarsi di orditi, trame e intrecci i quali procedono in parallelo con le vicende della voce narrante, protagonista a vario titolo nel paradigma della short novel, rendono lo stile della Morante avvicinabile alla bella tradizione della scuola di Sciascia e dei maestri della cronaca narrata. Giungiamo con una curiosità crescente alla seconda parte dell’antologia, chiamata “Futuribile”, dove incontriamo la definitiva rottura della tensione prima accumulata, si ha la netta sensazione d’essere arrivati ad un punto di non ritorno. I protagonisti de “Risveglio”, così si intitola il racconto d’apertura di questa sezione, si muovono in un futuro remoto, l’anno è il 2198, si è in primavera. Feroci incubi per la perdita presunta di una quotidiana serie di azioni ricorsive, spingono gli attori del racconto della Morante a confrontarsi con l’organicità delle cose, dalle ritualità della colazione ai paradossi scientifici di un tempo inimmaginabile ormai pigro e totalmente indifferente alle sorti dell’umana specie.“È una sensazione che hanno vissuto tutti, non occorre descriverla troppo in dettaglio. Il risveglio, intendo, il risveglio dopo un incubo, o meglio, nel mezzo di un incubo: la voglia di riconoscere gli oggetti familiari, la gioia di ritrovarli dove ci si aspetta che siano. È come se si rientrasse nel corpo dopo che qualcuno qualcosa ci aveva strappato via: come una specie di rinascita insomma. Mi sento così, ora.[…]Come se niente fosse stato. Infatti NIENTE è stato.”Con “Lettere dal treno” indugiamo nuovamente sulle aperture al possibile proprio come nella prima parte. Questa volta tuttavia il movimento del mantice narrativo sembra invertito. Se inizialmente Morante gioca con gli epiloghi soffiando sul fuoco delle prospettive possibili, con il topos del viaggio, ripreso con discreta bravura, e non è poco in una produzione editoriale odierna in cui tale tematica è ormai finita sotto le scarpacce di tutti, per esempio nelle caleidoscopiche descrizioni degli ambienti in cui si svolgono le vicende e nelle crepuscolari introspezioni dei personaggi in perenne movimento, l’aria viene aspirata con perizia catapultando il lettore nell’immedesimazione. Adesso lasciamo che tali storie continuino il loro percorso, mi piace pensarle come ancora letterariamente in fieri. Il vaso di Pandora è ancora di là dall’essere scoperchiato. In fondo, la luce è un buon grimaldello.

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