
Corriere della Sera
Kjell Espmark sulle tracce della famiglia
Giornata grigia. Un undicenne si mette in posa sulla barca, col berretto un po’ tirato indietro, un pesce in una mano e la canna a mulinello nell’altra. Indossa pantaloni di velluto, la parte più bassa del gilet – che copre parzialmente la camicia con maniche corte – s’è arrotolata coi movimenti e, nel risalire, mostra la cintura con una grossa fibbia metallica. Pronto. Uno scatto e l’immagine entra a far parte della futura memoria e del «riuso della vita», quando «l’insufficienza del ricordo» sarà completata da «furtive manipolazioni». Ed ecco che, circa 70 anni dopo, la foto diventa la copertina de I ricordi mentono di Kjell Espmark (Aracne, pp. 292, € 12), a cura di Enrico Tiozzo, postfazione di Claudio Angelini. Romanzo autobiografico? Saggio che costeggia anche politica, letteratura, musica, arti figurative? Cronaca familiare? Un po’ di tutto. La vita scorre, a flashback, come su uno schermo, e la rilettura, aiutata degli avvenimenti successivi, serve a ricomporre immagini non ben definite. I ricordi, che hanno «il colore pallido delle fotografie rimaste troppo a lungo esposte alla luce», mentono. D’un tratto, Kjell si chiede: è possibile «ricordare con l’aiuto della volontà»? Gli viene in aiuto Proust. Solo per una grazia. «Gli attimi perduti si fanno avanti quando vengono attratti da un gusto inatteso o da un improvviso suono sconosciuto». I soggetti? L’infanzia, fucina di idee per romanzi e versi. Il padre, dentista (che ama viaggiare e muore a 86 anni, «subito dopo avere comprato un biglietto per il Messico»), che lascia la famiglia per un’altra donna. La madre, che di giorno lavora e di notte scrive racconti per rotocalchi (il denaro non basta e spesso gli alimenti arrivano con molto ritardo o non arrivano proprio). Sempre lei, ancora, che fa da assistente, in colonia, alla madre di Ingmar Bergman. Il nonno materno («Una foto certifica che durante l’escursione nel bosco ci spingemmo un po’ nel passato? Porta una data esatta: 1937. Il nonno fa girare la ruota e io spingo il filo del coltello contro la pietra che gocciola d’acqua? La foto è molto nitida. Persino il movimento è stato catturato, una piccola sfumatura attorno al manico della manovella»). La prima moglie, Anne, con i due figli; e la seconda, Monica. Ed ancora: la letteratura, sorta di idolo attorno al quale l’autore ruota sin da bambino (con naturali confronti, giudizi, beghe, scontri, accuse e difese che fanno, sempre e comunque, da corollario, ai protagonisti d’ogni tempo e Paese). Docente universitario, critico letterario, poeta, narratore, Espmark è anche autore per il teatro: ha cominciato col costruirne uno («Blu, alto un buon metro, con sipario, illuminazione e una vera profondità di palcoscenico, davanti al cielo rotondo»). Non solo. Spesso sintetizza la «cronaca familiare» in poesie, qui riprodotte in parte, già raccolte in volume. Il «personaggio Letteratura» include il giapponese Kobe Abe che invia ad Alain Robbe-Grillet fotografie ambientate a Tokyo, che all’autore francese servono per scrivere un libro («immagini incorporate in altre»); Kafka (talvolta Kjell si identifica in un personaggio de Il processo ); Thomas Tranströmer, l’amico poeta svedese vincitore del Nobel nel 2011, e via dicendo. Attraverso l’obiettivo di una cinepresa, che «gira» ininterrottamente da 85 anni, I ricordi mentono (magnifico affresco – commovente e talvolta persino devastante – di quasi un secolo della vita del suo protagonista e di un Paese) dà vita al passato e permette di vivere – scusate il bisticcio – «una vita in più». Certo, i particolari della memoria entrano a far parte della fantasia (che non è autobiografia), ma resta il confine fra «ricordo di carta» e verità. Entrambi ricostruiti, comunque menzogneri. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Grasso Sebastiano
Pagina 45
(13 gennaio 2015) – Corriere della Sera
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