Kúmá

Sin dal suo titolo, la raccolta di saggi sulla letteratura della migrazione in lingua tedesca, che apre una nuova collana di “Lavori interculturali sul Tedesco” (LisT) per la casa editrice Aracne di Roma, mette bene in evidenza il suo obiettivo principale: studiare le nuove colorazioni che la lingua tedesca ha acquisito nella parola letteraria di una serie di autori di provenienza straniera, principalmente in Germania ma anche in Austria1. Già a un primo sguardo su questo prezioso volume, scopriamo tuttavia che indagini sulla lingua letteraria di scrittori transculturali non possono certamente equivalere ad un puro esercizio accademico-erudito su varianti lessicali e semantiche, su ibridazioni e pastiche linguistici. Infatti, nell’editoriale che illustra il nuovo progetto, le curatrici Eva-Maria Thüne e Simona Leonardi, due germaniste e linguiste attive rispettivamente all’Università di Bologna e alla Federico II di Napoli, ribadiscono la connessione intima tra lingua e cultura, “binomio indissolubile, caratterizzato dalla reciprocità, perché la lingua è sia espressione sia artefice della cultura di cui fa parte”. Insieme alle altre componenti del comitato di redazione di LisT, Anne Betten, Marijana Kresić e Marie A. Rieger, Thüne e Leonardi dichiarano quindi di volere, con questo progetto, “rendere espliciti i codici, le convenzioni, gli atteggiamenti della cultura tedesca nel suo incrociarsi con altre lingue e culture e in particolare con la lingua e cultura italiana”.Nell’introduzione, le studiose Thüne e Leonardi confermano l’obiettivo del loro progetto di mettere in evidenza quanto la letteratura in lingua tedesca si sia, negli ultimi cinquant’anni, internazionalizzata, aprendosi ad altre culture ed immaginari e facendosi espressione della composizione multiculturale di Germania, Austria e Svizzera. Ripercorrendo i presupposti socio-politici e più ampiamente culturali che permettono, oggi, di parlare di “reti di scrittura transculturale in tedesco”, esse approdano ad uno schizzo delle tappe principali che ha visto passare, in Germania, la letteratura della migrazione da tematiche legate al lavoro e alle difficoltà dell’inserimento dei “Gastarbeiter” nella società di arrivo (un arrivo vissuto e percepito ancora come temporaneo, come sintetizza bene il termine appena citato), fin ad elaborare un notevole potenziale di protesta contro questa stessa società, per poi frantumarsi in varie correnti e singoli destini di artisti e scrittori2. Un quadro poco noto al pubblico italiano, che fino a pochi anni fa non è riuscito a recepire con interesse e attenzione scrittori germanofoni di origini non tedesche, tolto il caso singolare (in termini di caratteri biografici e valore estetico-letterario) di Carmine Abate, ignorando narratori/trici validissimi/e come Franco Biondi, Saro Marretta e Marisa Fenoglio, poeti come Giuseppe Giambusso e Fruttuoso Piccolo, e molti altri ancora3. Molto più noti, invece, e tradotti anche in Italia, sono quegli autori che sono riusciti a soddisfare, con “prodotti” di qualità, la sete di esotismo che a tutt’oggi pervade il pubblico europeo, come il siriano Rafik Schami, e quelli che hanno mostrato di possedere non solo la forza di creare nuovi linguaggi, ma di reinventarsi e di sorprendere libro dopo libro, come il turco-tedesco Feridun Zaimoğlu.Gli interventi critici che seguono questo primo quadro d’insieme, si concentrano infatti su alcune grandi figure di scrittori/trici, cercando inoltre di consegnarci un quadro critico della scena letteraria attuale, in Germania e in Austria, in riferimento agli scrittori translingui. Mentre Ulrike Reeg, in “Percorsi di vita e processi di scrittura: note su Franco Biondi”, si sofferma sull’interessante caso dello scrittore originario di Forlì (e del quale è stata pubblicata in Italia la raccolta di racconti Il ritorno di Passavanti, Isernia, Cosmo Iannone, 2007), Beate Baumann analizza nel contributo intitolato “Feridun Zaimoğlu e la fiaba dell’interculturalità” la nutrita opera di Feridun Zaimoğlu, da Kanak Sprak e Abschaum (tradotto per Einaudi nel 1999 sotto il titolo Schiuma. Il romanzo della “feccia” turca) agli scritti di viaggio sui suoi “mesi romani” dal titolo Rom Intensiv (2007) e al romanzo Liebesbrand (2008). Al centro dell’intervento successivo (intitolato “Saša Stanišić. Dissoluzione di un paese come punto di partenza”) di Goraka Rocco, è uno scrittore la cui biografia ci mostra come talvolta non sia facile tracciare linee di demarcazioni tra scrittori “di prima generazione” e scrittori “di seconda generazione”, categorie che tuttavia sono ricorrenti nel volume di Thüne e Leonardi, e da loro racchiuse nel comune denominatore della “letteratura transculturale”: si tratta appunto di Saša Stanišić, giovane narratore di origine bosniaca, emigrato insieme ai genitori all’età di quattordici anni, e insignito nel 2008 del prestigioso premio Chamisso. Coniugando una grande potenza linguistica con la capacità di affrontare il tema bellico con originale inventiva letteraria, Stanišić ha riscosso un notevole successo di critica con il suo romanzo Wie der Soldat das Grammophon repariert, del 2006, tradotto in italiano l’anno successivo per la casa editrice Frassinelli, sotto il titolo La storia del soldato che riparò il grammofono.L’ampio saggio, centrale nella raccolta, di Eva-Maria Thüne su “Dove confluiscono i fiumi. Poeti plurilingui in Germania”, ripercorre più di trent’anni di poesia della migrazione in Germania, soffermandosi in particolare su poeti come l’iraniano SAID e il turco Yüksel Pazarkaya, sottolineando a proposito di quest’ultima come “il variegato e sorprendente spettro della produzione artistica dei turco-tedeschi e dei tedesco-turchi, che ha spesso caratteri altamente innovativi, è una chiara testimonianza di quanto la collaborazione, fusione e compenetrazione tra culture possa essere fertile” (p. 122). Esemplificando il suo discorso con diverse liriche, Thüne approda in seguito alla così detta seconda generazione di scrittori “transculturali”, che vedono in Zehra Çirak e in Hasan Özdemir, entrambi turco-tedesche, e in Marica Bodrožić, emigrata ancora da bambina dalla ex- Jugoslavia, i suoi rappresentanti di spicco. Dopo aver rilevato il notevole interesse anche “civile” dei poeti da lei presentati, Thüne conclude il suo discorso con considerazioni sui tratti che accomunerebbe il linguaggio poetico di autori che solo da adulti si sono spostati verso una nuova lingua di espressione artistico-letteraria a quelli che hanno invece adottato il tedesco ancora in età scolastica:“In tutti gli autori troviamo la riflessione sulla lingua, come ricerca della lingua materna o quella seconda, come posizione plurilingue ibrida o consolidata, mettendo in primo piano le costrizioni, i limiti, o ancora le possibilità di sperimentazione sintattica, o di introdurre un gioco ad es. di tipo lessicale, come abbiamo visto in più casi. Sono processi di scrittura transculturale in cui l’immersione nella lingua e cultura tedesca apre una corrente d’ispirazione di sicuro impatto e novità” (p. 147).È Barbara Pumhösel, poeta translingue austriaco-italiana, l’autrice del contributo seguente (“La frontiera li attraversa. Appunti sulla poesia transculturale austriaca”), che rappresenta una assoluta novità per il pubblico (solo) italofono, visto che fino ad oggi poco o nulla sappiamo, in Italia, delle lettere migranti in Austria, come del resto anche di quelle che da decenni animano la scena letteraria di altri paesi europei come la Spagna, il Portogallo, l’Olanda, e i paesi scandinavi. Diversi i parallelismi socio-culturali con la situazione tedesca, ma particolari le figure di poeti/e che emergono dal percorso critico di Pumhösel. La slovacca Zdenka Becker, il turco Serafettin Yildiz, poeta bilingue, la croata Ana Bilic, einfine e soprattutto l’egiziano Tarek Eltayeb, caso assai singolare di poeta e romanziere pluripremiato in Austria che, immigrato in questo paese nel 1985, continua a usare l’arabo, mentre le versioni tedesche della sua opere sono a cura della moglie, Ursula Eltayeb. Il quadro tracciato da Pumhösel si conclude con il circasso Kundeyt Şurdum, altra presenza di spicco nel panorama poetico-letterario austriaco.La quasi completa ignoranza, in Italia e per via dell’assenza di traduzioni, dei poeti citati sia da Thüne che da Pumhösel potrebbe condurre ad una considerazione sulla difficoltà, per i poeti/e translingui e bilingui, di “uscire” fuori dalle loro nuove “patrie letterarie” raggiungendo un pubblico più ampio, forse perché l’ibridismo lessicale e semantico rappresentano ulteriori scogli per l’accettazione di un genere e di una produzione che, già di per sé, trova nei paesi europei ormai solo pochi lettori.La interessante raccolta di saggi è completata dai contributi di Marie A. Rieger (“Il filtro del colore. La scrittrice afro-tedesca May Ayim”) e di Claudia Tatasciore che nella sua analisi linguistico-letteraria ci fa conoscere la scrittrice Terézia Mora, emigrata dall’Ungheria nel 1990 e considerata una delle voci letterarie più significative in Germania (“Tra via di fuga e stigma: la lingua in Terézia Mora”).In conclusione, vorrei sottolineare come la prospettiva linguistica adottata dalle curatrici del volume sia in grado di aprire nuove considerazioni capaci di cogliere il valore di una scrittura che in molti paesi europei, nella sua prima fase e troppo a lungo, è stata recepita solo nella qualità di documento di fenomeni socio-politici, oppure (più recentemente) come esempio di un esotismo letterario capace di essere “venduto” anche ad un pubblico di massa. Viene da confessarsi che, per la letteratura della migrazione in Italia, tale prospettiva manca a tutt’oggi, nonostante appaia in grado di confluire con altri studi critici che mettono in evidenza il valore profondamente ed esemplarmente umano delle poetiche migranti4. Poetiche che nella lingua sempre di nuovo reinventata – e che si fa grido, protesta, sogno, amore, mancanza, saudade/ghurba/Heimweh, speranza, gioco – veicolano tale valore.

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