Avvenire
Anni di piombo vissuti da giornalista

Le persone di buona volontaÌ€, i miti, coloro che sono chiamati a costruire la pace non conoscono e nontemono nessuna divisione. Quando si costruisce giorno per giorno una cultura della vita, una cultura che ponga l'uomo al centro di ogni sforzo, anche gli orizzonti piuÌ€ foschi lasciano intravedere cieli piuÌ€ azzurri e arcobaleni di luce di speranza». Si puoÌ€ partire da queste parole, sigillo dell'ultimo editoriale pubblicato il 29 aprile 1984, dunque praticamente sulla soglia della morte (sopraggiunta il 10 maggio), per tentare un ritratto sintetico di Angelo Narducci, direttore di Avvenire fra il 1969 e il 1980. Quel testo estremo, che ha il sapore insieme di un congedo, di un bilancio e di un testamento spirituale, lucidamente infatti riassume il senso (e al tempo stesso la piena consapevolezza) di un'esistenza avviata, maturata e conclusa sotto il segno della speranza, nell'ardore di una fede mai doma e partecipe di una corrente di pensiero nella quale primeggioÌ€ Paolo VI, il Papa paternamente, fraternamente vicino ad Avvenire e al suo direttore. Coglie e rievoca benissimo questo, e molto altro ancora, Giuseppe Merola, autore di un Angelo Narducci e "Avvenire" (Aracne editrice, pagg. 242, euro 16,00) che si presenta come la Storia di un giornalista, poeta, politico con l'ansia di essere cristiano e che ha, oltre a quello ormai raro di una ampia e rigorosa documentazione, il pregio di non limitarsi alla biografia individuale (impresa giaÌ€ questa molto impegnativa) ma di collocare la figura del protagonista sullo sfondo delle vicende della stampa cattolica, nonche̝, e piuÌ€ in generale, di un paesaggio italiano ribollente che comprende, tra l'altro, le dolorose lacerazioni all'interno del mondo cattolico, la contestazione studentesca, le battaglie sull'aborto, la nascita del terrorismo e il rapimento di Aldo Moro, sino alla crisi di quel sistema politico di cui Narducci fu interprete attentissimo, appassionatissimo e lungimirante. Interprete, abbiamo detto, e pure protagonista di nome e di fatto: nel 1979 fu eletto come indipendente nelle liste della Dc al Parlamento europeo (liÌ€ generosamente operoÌ€, con speciale attenzione al Terzo Mondo), ma anche piuÌ€ importante e prolungata fu l'influenza, appunto "politica", quale giornalista. Come ricorda nella prefazione il suo successore, Angelo Paoluzi, grande fu «il peso politico e culturale della sua presenza nella pubblicistica di quegli anni e della conseguente influenza sull'opinione pubblica». Influenza che Merola illumina con acume e originalitaÌ€ nella sezione del libro dedicata alla valutazione del linguaggio utilizzato da Narducci nella redazione degli articoli di fondo. A questa parte strettamente critica segue, a conclusione del libro, una Appendice densa e struggente, che contiene interviste a Giorgio Basadonna, Cesare Cavalleri, Gigi De Fabiani, Luigi Narducci e alla moglie di Angelo, Giovanna Annibale. Ma il nostro pensiero finale va al Narducci poeta, l'insaziabile innamorato della vita che scriveva «Di me se vuoi una immagine / Ricorda il ragazzo ventenne / Che leggeva versi al tavolo di un bar / E se alzoÌ€ il volto dalle pagine / Fu per arrossire».

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