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Antonio Gramsci si colloca nel quadro storico della Letteratura per l'infanzia e per l'adolescenza per aver tradotto, tra il 1929 e il 1931, ventiquattro fiabe dell'intero corpus dei fratelli Grimm e per aver scritto dal carcere numerose lettere ai familiari, nelle quali trovano spazio favole, racconti, apologhi di grande valore pedagogico e culturale. I racconti di Sardegna, disseminati nelle lettere ai figli Delio e Giuliano, alla moglie Giulia, alla cognata Tania e ad altri, oltre a trasmettere le esperienze della sua infanzia con una naturalezza comunicativa e secondo forme appartenute alla tradizione orale del passato, rappresentano una sfida all'usura del tempo, al "velo della memoria". Gramsci racconta con partecipazione emotiva e con estrema consapevolezza la sua infanzia, esercitando nel contempo una funzione pedagogica che da un lato sottolinea quella "paternità vivente" ricorrente nei suoi scritti, dall'altro testimonia la sua attenta sensibilità e il suo impegno etico verso il delicato mondo dei bambini e degli adolescenti. Dai Quaderni e dalle Lettere dal carcere emerge l'uomo conoscitore della letteratura, della storia e della storiografia della Sardegna, un esperto "affabulatore" che, quale "custode del tempo", affida ai figli, agli adolescenti, ai giovani il difficile compito di custodire e trasmettere le antiche memorie. Egli crea, attraverso le narrazioni, un clima di compartecipazione, di appartenenza e nel contempo di attualizzazione del passato. Appare dunque che il ruolo dello scrittore s'intrecci con quello del narratore che, da un lato commenta i significati e il valore degli eventi e delle esperienze vissute, dall'altro riflette sulle implicazioni soggettive di un "percorso compiuto" che prende corpo e sopravvive attraverso il raccontare e il raccontarsi. Allora accade qualcosa di suggestivo, di magico: le leggende, i miti, i racconti, radicati nell'immaginario popolare, si mescolano alle esperienze ghilarzesi e si rivestono di iridescenze fiabesche.
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