
GEOPOLITICA.info
Mutamento del sistema-mondo, per una geografia dell'ascesa cinese
I processi di sviluppo avviati in Cina stanno mutando gli assetti di potere a livello mondiale, in ragione della loro concretezza ed estensione geografica. Ciò si traduce in un inasprimento della competizione internazionale e, conseguentemente, in una moltiplicazione dei fronti di tensione geostrategica. Le dinamiche analizzate in "Mutamento del sistema-mondo, per una geografia dell'ascesa cinese" (Aracne, 2009) confermano un simile scenario, estremamente competitivo e conflittuale, i cui riflessi fattuali si rinvengono nella riorganizzazione di varie regioni del mondo.Lo abbiamo visto parlando dei rapporti fra Cina e USA, del consolidamento del ruolo della Cina in Medio Oriente, in Africa, in ambito SCO e ASEAN e, infine, della ridefinizione della geografia dell'energia. Non è un caso che i territori presi in considerazione rappresentino nel contempo gli spazi d'espansione "fisiologica" della potenza cinese — che ha ad esempio portato in Pakistan capitali e uomini per realizzare infrastrutture di ogni genere (alcune delle quali già terminate) — e quelli ove gli USA, con il supporto della NATO, dei servizi segreti e dei Paesi alleati, esercitano azioni di contenimento contro i progetti di Beijing, e in particolare la sua volontà di creare una nuova architettura energetica.Alla luce di ciò, ci siamo persuasi del fatto che le vicende geoeconomiche e geopolitiche regionali possono essere comprese in modo adeguato solo se collegate alle tensioni strategiche che scaturiscono dal mutamento del sistema-mondo indotto dall'ascesa cinese. Si pensi ad esempio alla questione tibetana, utilizzata strumentalmente dagli USA e da tutti i Paesi Occidentali per delegittimare e destabilizzare la Cina, piuttosto che per promuovere il rispetto dei "diritti umani". Oppure, al recente conflitto in Africa centrale, dietro cui si schiude il progetto statunitense volto a contenere l'espansionismo economico- politico cinese. Stesso discorso si potrebbe fare per la crescente instabilità afghana e pakistana... In altre parole, i mutamenti in corso, di cui si è cercato di dare conto, ruotano intorno alla rivalità per il controllo delle regioni strategiche, per posizione geografica e/o per la presenza di risorse energetiche, da cui dipende il potere economico e politico degli Stati. Da questa prospettiva, la competizione all'interno dell'Occidente (USA/Europa) si traduce oggi in una partita più estesa fra spazi Occidentali e spazi Orientali. E benché l'esistenza di un alto grado di integrazione fra USA e Cina riduca significativamente la possibilità di un conflitto aperto e di una nuova Guerra Fredda, essa non attenua l'antago¬nis¬mo insito nelle diverse politiche perseguite dalle maggiori potenze mondiali.In conclusione, in questa ricerca è emerso un modello di sviluppo cinese (free State/corporate State) che, per quanto interno al funzionamento del modo di produzione dominante, presenta varianti e peculiarità significative rispetto a quello statunitense. Quest'ultimo, basato sul sostegno alle free private enterprises e alla correlata costruzione di alleanze geopolitiche, viene oggi messo in discussione dalla Cina, che sta generando degli assi regionali alternativi per mezzo delle State-Owned Enterprises e dell'attenta elaborazione di politiche macroeconomiche. Si tratta di una strategia che permette alla Repubblica Popolare di non subire passivamente le esigenze del capitale globale, ma, al contrario, di gestirle nell'ambito di un attivismo politico e legislativo in continua evoluzione. Basterebbe guardare agli effetti diversificati dell'attuale crisi economico-finanziaria. In questo caso possiamo facilmente osservare che, malgrado l'alto livello di interdipendenza economica, la vulnerabilità dei Paesi occidentali è molto più elevata rispetto a quella della Cina, che ha sempre mantenuto il suo sistema bancario e monetario sotto stretto controllo statale, limitando drasticamente qualsiasi attività speculativa. Proprio l'opposto, o quasi, dei consigli che negli anni sono stati elargiti dal Fondo Monetario Internazionale e dalle analisi dell'Economist.
Link al sito