L’indro
L’intervista fra maieutica e ‘augmented reality’

Della serie il bello deve ancora venire. Dove bello sta per novità, curiosità, creativa mutazione di ciò che già è. Prendiamo l’intervista. Per i più l’intervista è e resterà sempre il prodotto di quella situazione in cui c’è uno che fa le domande e uno che dà le risposte. I più avvertiti si sbilanciano a considerarla strumento manipolatorio atto a far dire alla “vittima” quello che vogliamo, tagliando e cucendo a nostro piacimento quanto da essa dichiarato mentre i più esperti, uscendo dalle ingenue semplificazioni dei primi e dei secondi, possono arrivare a distinguere fra intervista di tipo esplicativo, argomentativo, intimista, informativo. Punto. E invece no. L’intervista è fuzzy, ricca di infinite sfumature, di infiniti trucchetti e soprattutto potrebbe riservarci, nell’immediato futuro, delle belle sorprese.
Fabio Di Nicola, autore di programmi televisivi di approfondimento giornalistico e di divulgazione culturale, nel suo ultimo libro “L’intervista fra secondo e terzo millennio” edito da Aracne, non solo analizza storia e tecnica dell’intervista nelle sue più svariate declinazioni ma suggerisce scenari avveniristici in cui l’augmented reality e alcuni strumenti delle neuroscienze interverranno a potenziare, in modo straordinario, la situazione che da “inter-vista” diventerebbe, passateci il “nuovo conio” “ultra-vista”.
Ma andiamo per ordine.
In questo bel saggio è spiegato il diverso utilizzo dell’intervista in ambito non solo giornalistico ma anche storico ed educativo ed è spiegato il “come” il “way” , la sesta “w”, gli stili dell’interloquio, da Enzo Biagi a Vespa, a Costanzo, a Dandini, tanti e diversi come diversi sono gli usi che di essa si possono fare, non escluso l’utilizzo come fonte in ambito forense. E’ capitato a Roberto Saviano. In un’intervista rilasciata a “la Repubblica” l’8 settembre 2006, il noto scrittore descriveva nei dettagli il funzionamento della cosiddetta truffa del “filo di banca”. Cosa successe? Che il 17 settembre 2011 il Gip di Monza spiccò un ordine di custodia cautelare nei confronti di una banda di napoletani che svaligiava bancomat utilizzando la tecnica del “filo di banca” e, per avvalorare i capi d’imputazione, citò negli atti, primo caso nella storia, proprio l’intervista a Saviano al quale venne riconosciuta di fatto un’autorità in materia, autorità da utilizzare come fonte in campo legale. Di Nicola cita poi la questione del copyright. Di chi è l’intervista? Di chi la scrive o di chi la concede? Adriano Celentano per esempio ha provato a ribaltare i ruoli tradizionali perché, nel momento in cui la casa editrice Barbera si accingeva a pubblicare, in un solo libro, tutte le interviste che i giornali gli avevano fatto negli anni, lui, il Molleggiato non si è mostrato per niente “elastico” e ha avocato a sé, e non ai giornalisti, il diritto d’autore sulle interviste rilasciate.
Ma Di Nicola approfondisce soprattutto la tecnica e l’impiego dell’intervista in televisione con particolare riferimento ad alcuni programmi, ad alcuni conduttori e ad alcuni direttori che hanno segnato svolte storiche perché significativamente innovative. Complice il cinema in alcune situazioni. Si pensi al film Il caso Parradine (1947) di Alfred Hitchcock con Gregory Peck e Alida Valli. Quasi tutte le scene si svolgono in un tribunale e la protagonista è una moglie accusata di aver avvelenato il marito. La Valli viene interrogata , “intervistata” dai giudici e Hitchcock con i “piani sfalsati crescenti” la inquadra dall’alto con piani più o meno ravvicinati a seconda di quanto la giuria la schiacci, incalzando minacciosa, o le dia credito… Tecnica di ripresa geniale ed eloquente più dei dialoghi mutuata, più o meno consapevolmente poi, da molti format televisivi. Pensiamo, per esempio, alla posizione fisica del conduttore e del pubblico nello studio televisivo cosi com’è andata cambiando nei programmi che si sono andati affermando negli ultimi anni…. Se già in trasmissioni come “Chi l’ha visto?” e “Telefono Giallo” il conduttore era in piedi in una posizione se non proprio da inquisitore, quantomeno da indagatore, nei talk show il conduttore, sempre in piedi, è spesso il mattatore, l’istigatore di posizioni antinomiche in un pubblico che, per questo, viene schierato in due ali contrapposte. In questo caso l’intervista più che far conoscere, accentua, esaspera le posizioni, le estremizza e le tecniche di regia sono funzionali a questo intento. I programmi di Michele Santoro sono emblematici a tal riguardo. Riferendosi ai programmi del giornalista salernitano, Di Nicola dice “Si potrebbe parlare più facilmente di “interviste a piani incrociati”, in cui c’è un intervistatore che è in un modo speciale anche regista; il quale dà il la agli altri, che possono fare altre domande sottoponendo l’intervistato a un fuoco incrociato: a prevalere è il senso della piazza, cioè il comune sentire, che in questi casi esprime il dissenso. La piazza nell’intervista televisiva diventa attore protagonista, e anzi avvalora ancora di più le tesi accusatorie. E’ un megafono fisico e mediatico, una cassa di risonanza che il conduttore usa talvolta in modo spregiudicato. La piazza in questo tipo di programmi, ha segnato un’epoca, dando corpo e vita a quello che era sempre il tertium non datur, il principio del terzo escluso. il principio, secondo il quale, nella logica classica, non esiste una terza via o una terza possibilità in una situazione che ne contempli solo due.” (in questo caso la piazza, protagonista assieme a intervistatore e intervistati ndr) Un’importante ulteriore evoluzione è rappresentata dai programmi della Rai Tre di Paolo Ruffini. “Ballarò” (2002), condotto da Giovanni Floris, per esempio, ha sempre il pubblico schierato in due fazioni, il tertium però non è più la piazza di Santoro in diretta ma la gente sentita in servizi chiusi, le cosiddette vox populi. In questo caso il conduttore, costruisce, con grande abilità, interviste parallele con il solo fine di far comprendere al pubblico gli argomenti trattati, non per indurre a prendere una posizione precisa ma per mostrare quante sfumature ci possono essere nella percezione e nel racconto della realtà.
E veniamo ai nuovi strumenti di cui Di Nicola vorrebbe dotare l’intervista televisiva e che ha già in parte personalmente sperimentato di recente in un suo programma su Rai 2 “Terre meravigliose”: l’uso della augmented reality, la realtà aumentata. E’ questa una tecnica, già usata in campo pubblicitario, automobilistico, cinematografico. Si tratta di un sistema computerizzato che fa si che, inquadrando con la fotocamera dello smarthphone o del tablet una foto o un ARtag (che è un particolare marker grafico bianco e nero) si attivano dei contenuti multimediali. Di Nicola propone di far comparire nella scenografia di studio, in momenti definiti, degli ARtag che possono essere ripresi da casa per dare la possibilità ai telespettatori di attivare contenuti multimediali che arricchiscano l’intervista in corso in un flusso di informazioni potenziato e gestibile secondo nuove modalità di fruizione. Il giornalista vero non pensa, con le sue indagini, di arrivare a possedere la verità. Si limita con ogni mezzo a pedinarla, spinto dalla neorealistica ”fame di realtà”. In questo senso l’augmented reality e le tecniche mutuate dalle neuroscienze procurano di sicuro una valanga di ulteriori indizi.

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