La Sicilia
Un rapporto conflittuale fra l‘Es e l‘Ego

Cosa si contende nella contesa fra due amanti? E si contrasta nel contenzioso, se il ”contrasto“ per antonomasia è quella tra l’uomo e la donna, cantato da Ciullo D’Alcamo? Ma il contrasto, nel caso di Ciullo, è proprio il “dialogo” che, in contesa col monologo, consente la conoscenza, tra maschile e femminile, che è anche accoppiamento e generazione, e quindi “tesi” per una nuova sintesi avventurosa nelle sinuosità oscure-solari dell‘amore. Ma c‘è pure una contesa e un contenzioso con sé stessi, un contrasto tra l‘Es, il pronome neutro tedesco e l‘Ego della precisione latina, tanto precisa che, diceva Sciascia, “latino” in dialetto sicilano ha il significato di diritto e di dritto. Uno scontro conflittuale, con contesa, dove il vincitore, l‘Es o l’Ego, a secondo chi è il più determinato, conquista fortilizi che un momento dopo sono diroccati, mentre da qualche altra parte della psiche vengono ricostruite altre postazioni. E l’oggetto del primo romanzo di Lucio Paolo Alfonso (che avevamo incontrato già come raffinato scrittore di poesie), Contesa, Aracne editrice, rappresenta proprio questo contro, la contesa appunto, irrisolvibile e titanica, per il protagonista, l’architetto Giovanni Spuches, lacerato nel campo di battaglia di scelta, perfino nel decidere a quale pirandelliana corda dare carica. Il conflitto allora genera malattie misteriose che, nate nel contesto della contesa dell’amore, pare abbiano un loro naturale sbocco nella sessualità, nell‘Es imbizzarrito, bramoso, profondo e che si trova perfino a confrontarsi e ad aprirsi nel gabinetto della psicanalista, che è appunto femmina, mentre Maria, l’amante presa e perduta, appare quell’idea di eterno femminino, ma più consono però all’immaturità di Don Giovanni di Kerkegaard. Tuttavia il protagonista del romanzo non ha nemmeno un Leporello su cui contare, mentre degli amici pare ne comprendano le sofferenze. Nello sfondo e nel ricordo della narrazione la Sardegna e la Sicilia degli anni Settanta, ma pure il Sessantotto e gli ideali d’eguaglianza, anch’essi diroccati, sull’altare della concretezza della vita, nella giungla della città da cui Spuches, da architetto, trae guadagni truffaldini. Si sente allora, anche sul versante della politica, lo scalpitio dell’Es, inascoltato, mentre rotoli di denaro protagonista si ritrova fra le tasche, senza più averne attrazioni fatali, come quelle ormai scadute per la moglie. Fluida la scrittura, senza bizzarrie e contorcimenti, mentre Lucio Paolo Alfonso assapora, forse pure nelle chiavi cromatiche di qualche nota biografica, l’intima contesa del suo personaggio, stretta in un nodo che solo un colpo di accetta potrebbe sciogliere. Ma è proprio quel nodo, quel groviglio dell’esistenza, che fa di questo romanzo una pregevole lettura.

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