Giuseppe Centore
Senza voltarsi, né restare

Ancorché edite in due volumi distinti: Senza voltarsi e Senza restare (Ed. Aracne) le poesie di Michele Nappa, che esercita brillantemente la professione forense , svolgono, sia sul piano contenutistico che su quello stilistico, un unico coerente e conseguente discorso intorno a due temi precipui: l'amore, nelle sue varie cadenze e movenze, e la sofferta condizione della classe operaia invocante affrancamento e riscatto.
Il tratto di originalità che connota il suo “canto all’amore” risiede soprattutto nel vederlo più che come schermo alla tristezza quale lo riteneva Quasimodo, come il più efficace antidoto al tempo “tiranno che corre veloce” e che è “vano e terribile senza attese e sogni”.
Per cui, o inventati da un sorriso o auspicati dal cuore, si vogliono “gli anni della tarda stagione / illuminata da amori / nati per vincere il tempo”. E questo perché si è consapevoli che “la gioia più grande possibile nella vita non è nell'attesa, ma soprattutto nella realizzazione del sogno”. Gioia tanto più intensa quanto più fondata sulla certezza che “Quando sarà finito il giorno / non sarà finito il nostro amore” e che i giorni tornano a “sorridere per chi più ama”. E proprio in ragione di questa sua impagabile preziosità, chi perde in amore “paga per due”.
Di qui la perentoria ingiunzione a “vivere amando nel sole e non sentire nel tempo la noia” che sembra echeggiare la modulazione del memorabile verso di Gaspara Stampa: “Vivere ardendo e non sentire il male”.
Sul piano compositivo, inoltre, molto interessante è la sezione “Attimi e giorni senza addii”, parte seconda del volume Senza restare. Essa, infatti, nella scia dell'ungarettiano M'illumino d'immenso e della stringata struttura degli haiku giapponesi è costituita da una sequenza di laconici distici che con folgorante immediatezza catturano l'attenzione. A riprova ne cito alcuni: “S'illumina il cerchio di buio / trafitto da luci: e fuochi intermittenti”; Passato: “Si ritrova con gli echi / nelle pieghe del cuore". E, aprendo, una prospettiva di positività se non di ottimismo rispetto alla ben nota terzina quasimodiana: “Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole : ed è subito sera”, Nappa scrive: “Le strade bianche trafitte dal sole / tagliano orizzonti senza tempo”, quasi un invito a immaginare un regno dell'Oltranza oltre quello che appare e si vede. E infatti per lui la vita: “È un andare e ritornare atteso / ogni ora su strade senza fine”. L'esistenza per lui, insomma, non è intesa come una clausura ineludibile ma come un itinerario ininterrotto verso un “verde lontano”. ln definitiva, occorre riconoscere che: “Sono vivere e amare / il tuo presente e il tuo futuro”. Come dicevo in esordio, la vena ispirativa di Nappa non si esaurisce nella narrazione egolatrica, se non narcisistica, della sua storia o diario d'amore, ma si estende sotto l'urgere di un affiato di solidarietà umanitaristica a cantare il destino di quanti: precari, migranti, disoccupati, cassintegrati, lavoratori in nero, lottano senza tregua per “un altro domani", un domani migliore.
Essi, in una serie di fotogrammi, nitidi e toccanti, vengono colti o mentre “aspettano esitanti un treno / che non arriverà giammai”, in attesa di: “Andare altrove sperando / un domani sereno o diverso / di là dalle argille rosse / così povere ed arse”, o vengono associati al “Lamento di una madre” che “consuma i giorni aspettando / un segno o la voce del figlio”. Di qui il passaggio dalla distaccata e neutra constatazione dall'angoscioso e perverso fenomeno al cogente invito a superarlo sulla base del marxiano enunciato: “Non conta lavoratore / ribellarsi da solo. / Conta il no della massa, / unita nella lotta”.
Questa concisa ricognizione dei due principali nuclei tematici, assunti a materia di versificazione da Michele Nappa, non ci esime dal fare un fugace cenno a un'altra non marginale fonte ispirativa del poeta, cioè quella legata ad Alvignano, la terra che gli ha dato il natale e a cui ha dedicato due composizioni che sono, nel loro genere, due piccoli gioielli: Arrivo al paese natio e Ad Alvignano mio paese natale. La lettura di quest'ultima ha suscitato in me una viva emozione perché associata nella mia memoria ad una analoga “romanza” del giovane San Giuseppe Moscati. Sia pure in forza di due stati d'animo opposti: quello lieto di Nappa che arrivando canta:
“Il paese natio, carezzato dal verde,
si sveglia in un canto di festa.
Sfolgora il sole sui tetti rossi
nascosto dal folto d' alberi alti
che nel blu elettrico ondeggiano”.
E quello mesto di Giuseppe Moscati, che allontanandosi da S. Lucia di Serino, nell'aventinese, annotava:
"Sospiro, o diletto - paese natio !
Sospiro al ricordo - del verde pendio ...
Ti vedo da lungi - ma triste un addio,
Migrando lontano - per sempre ti do.Crudele destino!”
Si sa che quanto sulla poesia si dice è sempre inferiore alla poesia stessa, la quale è ilvertice espressivo del linguaggio umano. Per cui, queste rapsodiche annotazioni intendono appena il valore di una delibazione esemplificativa cui vuole seguire, come pronunziato dall'autore stesso, l'invito dantesco: "Posto t'ho innanzi ornai per te ti ciba".

Giuseppe Centore

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