Il Mestiere di Storico
Esercito e fascismo

Al ruolo attribuito a soldati e ufficiali del regio esercito nella politica interna è dedicatada Luca Falsini un’analisi dei rapporti tra esercito e fascismo sino alla guerra. Meno comunedi quelli relativi alla preparazione e all’impiego in guerra, sui quali si è scritto di più, e privopertanto di un consistente retroterra storiografico, esclusi i saggi di Rochat e Mondini,questo studio può dirsi soltanto parzialmente capace di sfruttare tutti i temi ai quali fa riferimento.E tuttavia è un lavoro per alcuni aspetti meritevole di attenzione.Reclutamento, addestramento e operazioni sono argomenti sostituiti dal coinvolgimentovolontario e involontario in ambito politico, come quello causato dalle lusingheo dagli attacchi sovversivi di cui sono oggetto dal 1919 al 1922 i cittadini in uniforme.Dalla ricostruzione di questi passaggi, forse quella riuscita meglio del lavoro, il coinvolgimentoappare frutto di due processi differenti: uno di militarizzazione della politica,evidenziata dalla comparsa di un Esercito rosso, di una Guardia rossa e degli Arditi delpopolo nonché, sull’altro versante, delle squadre nazionaliste e fasciste; e l’altro di esasperatapoliticizzazione della funzione militare, espressa, previa diserzione individuale e digruppo, dalla piccola armata dannunziana.Ciò che, se non manca del tutto, doveva forse avere maggiore spazio, sono le tappeistituzionali della smobilitazione della truppa. Meglio seguite invece, ma non oltre quantogià noto, sono le vicende del corpo ufficiali in drammatico soprannumero.Assumono un certo valore documentario e soprattutto interpretativo le proposte politicamentegoffe e fallimentari di inserimento a livello di grande unità o anche di minorireparti, di figure di propagandisti, o forse di commissari politici, fascisti. Il tempo degliufficiali “P” di democratica memoria era ormai tramontato. Perché la propaganda non erapiù compito della Forza armata. Era il regime – scrive bene l’a. – a creare nel soldato unospirito guerriero ancor prima di mettergli un’arma in mano.Il saggio tratteggia le politiche seguite dal governo in tema di cura del benessere dellatruppa, sia spirituale e fisico; sia economico, mediante il ripristino dei sussidi alle famigliedei richiamati; sia morale, affidato alla più larga concessione di decorazioni e, per quantoriguarda gli ufficiali in congedo, alla loro associazione, l’Unuci.Sempre a proposito delle politiche adottate dal regime il saggio non affronta il rapporto,pur accennato, dei militari appena congedati o ancora in servizio con due corpiarmati diversi fra loro come la Guardia regia prima e, una volta sciolta questa, la Miliziavolontaria, e si conclude con la risposta dell’autore alla domanda sul livello di fascistizzazionedei soldati italiani che gli appare parziale e proporzionale a quella data dal resto delpaese: giudizio corretto essendo i soldati, come tutti i giovani, cavie più che protagonistidi quell’esperimento di ingegneria politica che puntava alla creazione di un italiano nuovola cui prima generazione in armi non fu tuttavia capace di corrispondere in pieno alleaspettative del regime.

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