Il Sole 24 ore Domenica
Schermi post coloniali. L’Africa in noi

Un progetto universitario internazionale di studi postcoloniali di cinema e media presenta una prima raccolta di analisi e testimonianze dedicate al nostro cinema, con particolare attenzione ai tempi recenti e all'epoca presente. Vi si possono trovare riflessioni teoriche, tra storia e antropologia, ed esami specifici, molto documentati. Si tratta dunque, nonostante la presentazione un po' troppo accademica e un po' troppo lussuosa, di un lavoro importante, che apre a molti discorsi, proponendo la conoscenza di un tema sempre sottovalutato dalla nostra cultura. Basti pensare alla scarsità di studi seri, fino a tempi recenti, sulla presenza e le azioni del colonialismo italiano in Africa, soprattutto di quello d'epoca fascista, e sul disinteresse della nostra letteratura, con rare eccezioni (nella saggistica le benemerite ricerche di Del Boca, e in letteratura il capolavoro di Flaiano Tempo di uccidere e il ciclo di romanzi libici di Alessandro Spina, recentemente scomparso). In cinema, dopo le propagande fasciste, è col neorea lismo che la presenza di personaggi neri si afferma grazie a Rossellini (Paisà) e a Lattuada (Senza pietà, straordinariamente coraggioso se messo a confronto col cinema hollywoodiano del tempo), ma la storia successiva non è delle più edificanti, come dimostrano molti dei saggi del libro, che insistono sull'uso di attrici e attori nel cinema più popolare o dozzinale – nella serie degli spaghetti-western o dei film eroticomici.Si segnalano in particolare i saggi di Rosetta Giuliani e Alice Casalini, quello attentissimo di Vito Zagarrio e quelli che affrontano i nostri anni, del curatore del libro De Franceschi, di Alessandro Jedlowski, di Fara Politio. È infatti da poco, con il consolidarsi del fenomeno immigratorio, che – così come in letteratura con tanti scrittori nuovi, come l'Igiaba Scego che per il libro ha scritto una nervosa post-fazione – sono nati anche da noi giovani registi immigrati, non solo di origine africana e soprattutto di documentari, come Rachid Benhadj, Dagmawi Yimer, Theo Eshetu e altri, che però restano ai margini della produzione maggiore (ed è forse anche un bene, dato che è il cinema dei margini la vera forza del cinema italiano contemporaneo, anche se gli autori nuovi-italiani sono, insiste Zagarrio, sono «diversamente emarginati»…) e Jedlowski puntualizza la contraddizione che affronta questi problemi volendo a volte essere popolare ma non riuscendo a esserlo, e dunque non incidendo sui nodi del pregiudizio popolare.Accurato e pressoché completo nella sua documentazione del fenomeno, L'Africa in Italia apre un settore di studi che si spera non chiuso nelle logiche universitarie, non sempre, come è ben noto, ingenue e generose.

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