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"I COLORI ESCLUSI DALL'ARCOBALENO" DI GIORGIO ORANO, UN LUNGO VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

Ho avuto l’onore e il piacere di presentare ieri, presso il Biblios Cafè di Siracusa, l’esordio letterario del magistrato Giorgio Orano, edito di recente da Aracne. Prendo dunque spunto dal dibattito sorto in quella sede per scrivere qualche considerazione in merito ad un romanzo particolare, potente e generoso come pochi altri esordi recenti. Un articolato mondo narrativo in cui smarrirsi piacevolmente, abitato da personaggi alla deriva, confusi, in crisi esistenziale, un mondo costruito con un linguaggio perfetto, incisivo, attento ai dettagli, letterario ma senza mai compiacimento, degno dei migliori autori classici. Un romanzo sulla borghesia italiana sospesa tra una volontà di potenza, di successo, di denaro, residui del benessere precedente, e un presente e un futuro mediocre, quando non rovinoso, in cui il mondo sembra dirigersi verso la propria autodistruzione e non sembra esserci speranza, se non quella di riscoprire valori e sentimenti ormai sepolti.Lo sguardo dello scrittore non è moralistico, non suggerisce facili vie d’uscita, ma pone dei dilemmi e delle questioni morali su cui riflettono i personaggi e noi insieme a loro. La società non sembra più essere costruita a nostra immagine e somiglianza, siamo invece noi ad essere schiacciati e soggiogati da essa: i suoi fili sembrano essere sempre gestiti da qualcun altro, anche quando sembra che tutto sia in nostro pieno controllo.La famiglia non certo esemplare scelta come protagonista da Orano, è già in partenza disgregata. Augusta, Vittorio, Giada, sono per certi versi come i protagonisti della “Stanza del figlio”: la scomparsa di Matteo, figlio di Augusta e Vittorio e fratello di Giada, è però già avvenuta, digerita, ma è chiaro che quell’episodio ha permesso di far venire a galla i nodi irrisolti di questa famiglia. Famiglia che in un certo senso include anche un ex calciatore siracusano, Angelo, sicuramente il personaggio meno negativo, comunque un campione mancato, una promessa non mantenuta.Augusta è la prima a rendersi conto del “misero spettacolo del mondo”, la prima volerne fuggire, cercando di riscoprirsi felice attraverso la macrobiotica, annullando la propria identità, lasciandosi la famiglia alle spalle, per lei solo causa di dolore e sofferenza non solo per la scomparsa del figlio, ma anche per il suo fallimento educativo nei confronti della figlia, del tutto schiava della droga e di altre esperienze estreme, nonché per il suo fallimento di moglie, in quanto il marito sembra più dedito al gioco e alle puttane che non a lei. Si unisce ad una comunità chiamata Colle e cerca qui la sua direzione, che potrebbe anche portarla ancora più lontano, addirittura verso l’Africa, secondo un percorso di purificazione dai propri sensi di colpa scaturiti dalla facilità “upper class” con cui ha vissuto. L’allontanamento da casa di Augusta alla volta del Colle sembra avere effetti disastrosi più su Angelo, di cui Augusta era divenuta una sorta di amante, che sul marito Vittorio, ex giocatore laziale onesto, solido, ma non certo quel che si dice un campione, che sta perdendo tutto il patrimonio familiare per via del gioco, che dal campo di calcio si è trasferito sui tavoli da poker. Un uomo avvelenato dalle sue stesse ambizioni, sconfitto e superato da tanti giocatori più meritevoli, più bravi di lui, privo di talento ma animato da questa determinazione di andare oltre i propri limiti, limiti però che non gli hanno permesso di spiccare il volo: e con il gioco d’azzardo, nella fortuna, con l’aiuto del caso, cerca un risarcimento per le sue frustrazioni, per i suoi “grumi di odio”.C’è poi Giada, ragazza confusa, bisognosa di qualcuno che si prenda cura di lei, dato che in famiglia sembrano tutti avere altro da fare e pensare. E c'è anche Leonardo Baldi, un furbacchione che ci fa vedere da vicino gli ingranaggi che Giorgio ben conosce, dato che per professione si occupa proprio di tipetti loschi come Leonardo, intrallazzatore per conto di affaristi senza scrupoli, pronti a creare società dal nulla, intestandole a prestanomi ignari dei raggiri che vengono compiuti con il proprio nome: gente ingenua, apparentemente innocente, in realtà colpevole comunque di vendere il proprio immacolato nome per trenta denari o per fugare, come nel caso di Angelo, il senso di colpa per una paternità mai vissuta, mai goduta. Il fallimento sembra scolpito insomma nel patrimonio genetico dei protagonisti, fallimento che in realtà è solo nella loro mente, circuita dai falsi idoli della società consumistica, che cagionano un male di vivere che spinge all’aggressività, all’impossibilità di realizzarsi in una vita autentica, pura. La vita sociale, come in Pirandello, è fatta di inganni, di illusioni, di apparenze, che in Orano sembrano quasi già superate, i protagonisti hanno già buttato via la maschera, sono già dei vinti fin dalla prima pagina, nonostante il loro benessere li renda così diversi dai vinti di verghiana memoria. Smascherati nella pochezza dei loro risultati, schiacciati dal peso delle aspettative, vagano nelle loro vite senza neanche trarre consolazione dalla memoria, anch’essa depositaria soltanto di dolori, ossessioni, priva di consolazione o di valori. Il percorso dei personaggi che ci mostra Orano è un percorso che fustiga le aspettative e le ambizioni del tutto fuori luogo, fuori dal tempo e dalla storia, che la società instilla nei suoi abitanti, magari attraverso le peggiori serie televisive americane, persino attraverso la musica. Siamo insomma manovrati come marionette, tutto quello che ci circonda è ormai posseduto dal commercio, dal capitale, dal mercato. Persino il cibo è sempre meno naturale, produrre cibo sicuro è sempre più difficile laddove l’intero mondo è inquinato, anche il ramo del biologico è stato ormai posseduto dalle multinazionali. E qui entra in gioco anche Siracusa, che ha davvero fatto il suo per deturpare una delle più belle coste del Mediterraneo...per che cosa? Quando e come, si chiede Orano, si è imposta nella nostra testa l’idea che dovessimo deturpare il paesaggio, la bellezza, la natura, per una supposta idea di progresso e di relativo benessere? Valeva la pena vivere in una cloaca puzzolente per potersi comprare una macchina o un tostapane?Per ritrovare noi stessi occorre tornare alle cose semplici, ad un mano calda da stringere in una vita ordinaria solo all’apparenza. Per fortuna c’è ancora qualche testa pensante, qualcuno che ha voglia di conoscere la realtà abbandonando le schermo di un televisore o di un pc. Bisogna tornare a viaggiare leggeri, cessare di possedere le cose per non lasciarsi possedere da esse. Essere uomini normali, in grado tuttavia di compiere imprese, con il solo merito di non tirarsi indietro laddove occorre.

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