Corriere del Mezzogiorno
Luca Signorini e il suo «violoncello solo»

«Ho scritto questo libro per ricordare e fissare immagini e pensieri. È un libro biografico, ma parla anche di scuola, allievi e maestri. Per persone come me, cui la scuola ha dato dignità sociale, l'importanza dello studio è essenziale». Così il violoncellista Luca Signorini ha spiegato perché ha scritto il volume «Per violoncello solo» (edizione Aracne, Roma 2008). Un libro da gustare, da sentire, da leggere tutto di un fiato quello di Signorini. Il libro è stato presentato ieri a Napoli, nell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici da Marco Demarco, Direttore del «Corriere del Mezzogiorno» e Gianni Tangucci, direttore artistico del Teatro San Carlo, mentre ha coordinato i lavori Jolanda Capriglione del dipartimento di Cultura del progetto Sun. Centoottantaquattro pagine che catturano il lettore, quasi la sceneggiatura di un film. Una storia in bilico tra tormenti esistenziali e risalite, tra citazioni di Bruno Lauzi ed Hermann Hesse. L'autore, primo violoncellista del Teatro di San Carlo, ha fatto della sua vita un racconto dove esamina con scrupolo e passione la formazione di chi sceglie la musica come carriera e sulle modalità che accompagnano questa scelta. Le parole così si trasformano in spartiti musicali e gli spartiti in parole che non lasciano il tempo di fare e pensare ad altro se non al libro stesso. Ed ecco quindi che l'artista, immaginato solo come impeccabile autore di note, diviene «persona» con una storia da raccontare. Ma Signorini è anche un eccellente compositore e lo ha dimostrato con quest'ultima sua esperienza, visto che ha trasferito l'estro creativo della musica nel silenzioso delle parole. E ci è riuscito perfettamente dal momento che i due mondi, in questo caso, sembrano combaciare come se parlassero un medesimo linguaggio. Il libro, che affronta anche la storia del costume musicale italiano di questi ultimi quarant'anni, si fregia della prefazione di Stefano Valanzuolo che scrive:«Molti anni fa, a proposito del romanzo della scrittrice premio Nobel Toni Morrison, un critico annotava: "Questo libro non tratta di jazz, è scritto in jazz...". Prendendo a prestito un concetto già usato, allora, potremmo dire che anche questo lavoro d'esordio di Signorini non tratta semplicemente di musica, ma è concepito effettivamente come fosse una partitura. Il che sottintende il ricorso ad uno stile sottile ed intrigante, in cui emergono i segni di un istinto musicale che diventa, tra le righe del racconto, strumento analitico di accattivante profondità»

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